Allarme crisi energetica in Europa: colpa della Libia

Allarme crisi energetica in Europa: colpa della Libia

La Libia chiede maggiori profitti per la produzione di petrolio, minacciando di intervenire militarmente se ciò non avverrà.

In uno scenario già abbastanza critico dopo l’invasione in Ucraina, l’Unione europea rischia di dover affrontare una nuova crisi energetica. Ma questa volta la colpa sarebbe della Libia, dove uno dei due governi minaccia di fermare la produzione di petrolio se non riceverà un maggiore profitto.

sestrazione petrolio

Le minacce della Libia

Se i proventi del greggio non saranno divisi equamente entro i prossimi due mesi, il generale Khalifa Haftar (dell’est del Paese) ha minacciato di bloccare le entrate petrolifere, impedendo che arrivino alla Banca Centrale dalla National Oil Corporation (Noc), l’azienda petrolifera statale.

Il Governo dell’est accusa quindi l’azienda di dare la maggior parte dei profitti al Governo con sede a Tripoli, sebbene il petrolio venga prodotto in giacimenti situati in gran parte nella parte orientale del Paese.

Haftar: “Nuovo comitato finanziario superiore”

Ad esprimere la propria preoccupazione per i continui inviti a bloccare le produzioni di petrolio nel Paese è il ministro del Petrolio e del gas del Governo di unità nazionale della Libia, Mohamed Aoun. “La popolazione sarà la prima ad essere colpita se ciò accadrà, sia attraverso la perdita di clienti importatori di petrolio, sia a causa del blocco della produzione delle centrali elettriche”, afferma Aoun.

Durante un discorso tenuto lunedì nei pressi di Bengasi, il generale Haftar ha chiesto l’istituzione di un nuovo comitato finanziario superiore per concordare la distribuzione delle risorse petrolifere libiche. Se l’organismo non verrà istituito entro la fine di agosto, interverrà militarmente.

Rischio crisi energetica in Europa

La Libia produce 1,2 milioni di barili al giorno, ma ha in programma di aumentare la produzione a 2 milioni di barili entro il 2027. Gran parte del petrolio è destinato all’Europa che cerca un sostituto per il greggio russo perso, e che riceve attualmente circa il 7% delle produzioni.

Se questi flussi dovessero fermarsi, si rischia quindi una nuova crisi energetica e un conseguente aumento dei prezzi.