Perche L’Italia ha passato il turno, perchè ha comunque perso

Perche L’Italia ha passato il turno, perchè ha comunque perso

Il trionfo di Zaccagni non cancella i mali profondi del calcio italiano. Serve una rifondazione, partendo dal basso

L’Italia ha passato il turno perché il Dio del calcio non dimentica che ne abbiamo fatto la Storia. E perché – come recita la “Legge di Dunn” di Arthur Bloch – “Nessuna pianificazione, per quanto attenta, potrà mai sostituire una bella botta di c..o”.

L’Italia ha comunque perso perché è una squadra mediocre, persino imbarazzante nella sua pochezza, arida di gioco e idee, senza attributi. Se il calcio fosse un mondo perfetto questa Nazionale dovrebbe chiedere scusa a tutti noi che abbiamo colpevolmente ceduto ai tanti spacciatori di illusioni, ai killer del buon senso, perché lo avrebbe capito anche un criceto in letargo che neppure Gesù avrebbe potuto fare il miracolo.

L’acqua in vino ok, giocatori normali in fuoriclasse no. E’ questo il punto. La colpa non è nemmeno, non del tutto, di Spalletti. La latitanza della qualità è il riflesso di un campionato consegnato agli stranieri, decine di stranieri che vampirizzano le risorse e le chances dei giocatori italiani, destinati all’umiliazione di minutaggi ridicoli, a volte persino offensivi. Avere, meglio, schierare due-tre italiani per squadra non è strategia, è un insulto alla storia.

Alla storia di una Nazionale figlia di decine di giocatori di club che correvano, impostavano, pressavano, marcavano, sudavano, difendevano, segnavano. Oggi si vuole corrompere l’intelligenza con questa stucchevole menata de “il gioco si costruisce dal basso”.

Neanche avessimo sotto porta tanti Maradona. Peraltro, Roberto Carlos, mica un fesso, amava sostenere che:” Nel calcio attaccare è il miglio modo di difendere la propria porta”. Ergo. E’ già un miracolo sottrarsi al pressing degli attaccanti avversari. Figuriamoci impostare partendo dall’area piccola.

Secondo i soliti espertoni la Croazia era una squadra “vecchia e bollita”. Il campo ha detto un’altra cosa: che sul carrello dei bolliti c’erano Jorginho e compagni. Modric e soci si muovevano con sicurezza, avevano ritmo, controllavano con scioltezza i rarissimi sussulti azzurri.

E proprio il presunto nonno Modric, con un guizzo da ventenne, ha rischiato di cancellare l’Italia dagli Europei. Averne di nonni così. Viva le case di riposo in Croazia. Poi è arrivato il gol di Zaccagni, bellissimo. Che ha chiuso le porte dell’inferno e stoppato, per ora, i processi: al tecnico, ai giocatori, alla Federazione.

La verità è che il nostro calcio è stato ucciso lentamente. Dai soldi. Un fiume di denaro che ha avvelenato la grande bellezza di uno sport che nasce puro, che diventa Storia e poi scollina nella leggenda. Qualcuno potrebbe dire che abbiamo vinto campionati mondiali con nazionali tutt’altro che favorite, estranee sulla carta ai sogni del più imbolsito bookmaker. Giusto.

Ma vi ricordate i nomi dei giocatori che vinsero nel 1982 e nel 2006? Erano il meglio di una selezione ampia, nutrita da decine di giocatori italiani titolari nei rispettivi club. Oggi la scelta è poverissima, numericamente, e purtroppo, anche tecnicamente. Perché? Perché un giocatore può crescere, migliorarsi, affinare le proprie qualità, far esplodere il talento, se ha la possibilità di giocare, partita dopo partita, partite intere: così si costruiscono i campioni, non con frammenti, elemosine di match.

Magari accade il miracolo. Magari – asfaltando ogni logica – la Nazionale rivince gli Europei. In ogni caso serve una rifondazione del nostro calcio. Questa si partendo dal basso.