Suicidio assistito, Cappato si autodenuncia per la seconda volta

Suicidio assistito, Cappato si autodenuncia per la seconda volta

Per la seconda volta il tesoriere della Fondazione Coscioni, Marco Cappato, si è autodenunciato ai carabinieri.

Il tesoriere della Fondazione Coscioni si è autodenunciato dopo aver accompagnato in Svizzera Romano, 82enne che ha usufruito del suicidio assistito. “È indegno per un Paese civile continuare a tollerare l’esilio della morte in clandestinità”. Sono queste le dichiarazioni dell’attivista Marco Cappato.

Il caso della signora Elena

Dapprima Cappato era indagato con l’ipotesi di aiuto al suicidio per il caso della signora Elena, anche lei accompagnata in Svizzera per sottoporsi alla pratica del suicidio assistito. Stavolta Cappato ha accompagnato in clinica un 82enne di origini toscane e residente a Peschiera Borromeo, nel Milanese.

L’uomo era affetto da una grave forma di Parkinson. Nonostante non fosse tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, ha voluto comunque usufruire del suicidio assistito. Dopo aver fatto rientro in Italia, il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni si è autodenunciato ai carabinieri della compagnia Duomo a Milano.

Carabinieri

Marco Cappato ha poi dichiarato poco prima di entrare nella caserma dei carabinieri: “Rispetto allo scorso agosto per l’aiuto fornito a Elena Altamira non ho tutt’oggi ricevuto alcuna comunicazione sull’eventuale o meno rinvio a giudizio da parte del Tribunale di Milano. Sono stato interrogato ma a oggi non c’è nessun atto o comunicazione nessuna decisione”.

Una volta uscito dalla caserma, ha confermato l’autodenuncia: “Ho appena raccontato ai carabinieri quello che è accaduto, qualcosa che potrei definire una trappola micidiale che si stava stringendo attorno a Romano. Una trappola micidiale che ci parla di una violenza di Stato che è l’effetto delle contraddizioni della legge italiana oggi”.

La storia di Romano

L’attivista ha poi raccontato la storia dell’anziano: “Romano era in una condizione di veloce decadimento, ma non era ancora dipendente dal trattamento di sostegno vitale. Da una parte non voleva sottoporsi a quell’intervento, dall’altra non poteva aspettare perché altrimenti sarebbe andato incontro a un rapidissimo decadimento delle sue possibilità cognitive. Quindi la trappola nella quale stava per  cadere definitivamente era quella di acquisire il quarto criterio della Corte Costituzionale e allo stesso tempo di perdere la capacità piena di intendere e di volere che è condizione indispensabile per ottenere l’aiuto alla morte volontaria. Questa è una condizione di oggettiva violenza dello Stato”.