Caso Marco Vannini, dall’omicidio alla condanna dei Ciontoli

Caso Marco Vannini, dall’omicidio alla condanna dei Ciontoli

La famiglia aveva nascosto la verità su Marco Vannini per proteggere il lavoro di maresciallo del signor Antonio.

Nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2015 Marco Vannini, l’allora 20enne di Cerveteri (Roma), viene colpito alla testa da un colpo di pistola. Si trovava a casa della sua fidanzata Martina, e la famiglia Ciontoli era ormai abituata a vederlo in casa sua. Aveva promesso a sua madre di tornare a casa la mattina seguente per aiutarla con alcuni lavoretti, ma a casa non ci tornò mai.

Prigione

Le divergenze tra Marco e Martina

La relazione con la fidanzata dopo quattro anni inizia a vacillare: Martina è estremamente gelosa di Marco, anche se non ne avrebbe avuto alcun motivo. Inoltre, il padre della ragazza e suo fratello Federico, Antonio Ciontoli (ex militare e maresciallo della Marina Militare), aveva promesso al 20enne di aiutarlo a fare il pilota di arerei.

Purtroppo ciò non è mai accaduto, allora Marco Vannini si rivolge a suo zio per chiedergli il favore. Quando un giorno il fatto esce a galla, Martina non è affatto contenta.

Il colpo di pistola contro Marco Vannini

La sera del 17 maggio 2015, il signor Ciontoli stava pulendo le sue pistole calibro 9 in bagno. Poi, distratto dalla moglie, le lascia in bagno per poi tornarci poco dopo. Tuttavia, dimentica di farlo subito. Secondo le dichiarazioni dell’uomo, Marco si trovava nella vasca da bagno in quel momento.

Giocando scherzosamente con l’arma tra le mani, parte improvvisamente un colpo per errore che ferisce il ragazzo, trapassando il braccio destro fino ad arrivare al pericardio, la membrana che circonda il cuore. La famiglia Ciontoli pulisce Marco dal sangue, pensando che ci sia solo una ferita.

Ma in camera sua, adiacente a bagno, ma il proiettile conficcato nel corpo di Marco gli provoca un dolore allucinate, tanto che anche i vicini di casa raccontano poi di avere sentito le urla, definendole “disumane”. Il fratello di Martina, Federico, trova un bossolo della pistola nel bagno e capisce che non si poteva trattare di un colpo a salve, ma che Marco era stato quantomeno ferito.

La chiamata ai soccorsi

E’ Federico a chiamare il 118 parlando di “uno spavento”, di un “gioco finito male”. Poi durante la telefonata Marco, che era svenuto forse per lo spavento, si risveglia. La madre di Martina dice che non c’è più bisogno di alcun soccorso.

Solo quando le condizioni di Vannini cominciano ad aggravarsi, la famiglia chiama una seconda volta il 118. Al telefono raccontano che il ragazzo ha “un buchino sul braccio” fatto da un pettine appuntito sul quale Marco sarebbe caduto. L’operatore al telefono sente delle urla, e chiede se la persona ferita abbia una disabilità.

Anche dopo l’arrivo dell’ambulanza, i Ciontoli continuano a coprire il fatto che avrebbe portato alla perdita del lavoro del signor Antonio. Mentre Marco viene trasferito all’ospedale di Ladispoli, i coniugi Ciontoli raccontano ai genitori del ragazzo che nella notte è caduto dalle scale.

Il ragazzo deve essere trasportato poi al Gemelli: ha un’emorragia interna. Federico decide di dire la verità al padre di Marco Vannini, che per la rabbia sferra un pugno ad una colonna di cemento. Poco prima di partire, Marco ha un arresto cardiaco: i medici cercano di rianimarlo con un massaggio cardiaco, ma ogni tentativo è vano. Marco è morto.

Il processo

Dall’autopsia sul corpo del ragazzo emerge che si sarebbe potuto salvare se si fossero chiamati prima i soccorsi. Nel corso del processo che vede imputata la famiglia Ciontoli, è agghiacciante il modo di affrontare la tragedia, facendo prevalere questioni frivole e superflue.

I primi due dibattimenti in Tribunale si sono conclusi con esito contrastante. Successivamente, la Cassazione, ha annullato quello in cui era stata riconosciuta l’ipotesi più lieve con la riduzione di pena da 14 a 5 anni ad Antonio Ciontoli.

La Cassazione ordina un nuovo giudizio e indica a carico del sottufficiale della Marina Militare e dei suoi familiari, una decina di indizi colpevolezza. La Suprema Corte ha detto che tutti gli imputati tennero “una condotta omissiva nel segmento successivo all’esplosione di un colpo di pistola, ascrivibile soltanto ad Antonio Ciontoli, che, dopo il ferimento colposo, rimase inerte, quindi disse il falso ostacolando i soccorsi“.

Il 30 settembre 2020, la Corte d’Assise d’Appello ha condannato Antonio Ciontoli a 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale e la famiglia a 9 anni e 4 mesi per concorso anomalo. Il 3 maggio 2021, viene confermata la condanna per la famiglia.

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