Milan e Inter all’ultimo stadio: il dossier che fa tremare Sala

Milan e Inter all’ultimo stadio: il dossier che fa tremare Sala

Tutti i nodi irrisolti di un progetto che sta incendiando il clima politico a Milano, facendo litigare il Sindaco con la maggioranza che lo sostiene. Ma non sull’ipotesi-La Maura

Come è possibile una persona da tutti riconosciuta valida come Beppe Sala stia dando credito alla balzana ipotesi di costruire lo stadio del Milan al posto dell’Ippodromo La Maura, edificando una zona verde? Se il sindaco di Milano dà spago al progetto, a costo di litigare con i partiti che lo sostengono, è perché il dossier-stadio è chiaramente sfuggito di mano e per evitare un disastro politico bisogna salvarsi in corner.

San Siro: analisi del progetto di Milan e Inter

L’ipotesi-La Maura fa inorridire ambientalisti e comuni cittadini e, se ci si è arrivati, è perché c’è stato un raffreddamento sul progetto precedente: abbattere San Siro per costruirvi, proprio accanto, un nuovo stadio co-gestito da Milan e Inter. Già questo progetto aveva sollevato una mezza rivoluzione, con i comitati del no che hanno recentemente vinto un ricorso e puntano a un referendum sul tema. Il progetto è così divisivo che qualcuno ha pensato che Sala volesse mettere un po’ di pepe in una situazione insolitamente tranquilla per una città effervescente come Milano: a un anno e mezzo dall’inizio del suo secondo mandato, peraltro con una giunta e un consiglio piuttosto accondiscendenti, non è che sia ancora accaduto granché di diverso dal business as usual.

Questo, almeno, è ciò che può apparire da fuori, perché invece nelle stanze della politica milanese il tema-San Siro tiene banco da oltre un decennio (ovvero da prima di Giuliano Pisapia) e le prime interlocuzioni tra le squadre e l’attuale amministrazione risalgono alla metà del Sala-1. Prima ancora, c’era stato il progetto del “quarto anello”, che consisteva nel convertire l’area esterna al Meazza a servizi accessori. Solo nell’ultima fase di questa lunga storia i progetti architettonici sullo stadio si sono incrociati con i cambi di proprietà di Milan e Inter, i cui tifosi comprensibilmente sperano in un futuro radioso, sia dal punto di vista economico che da quello sportivo.

Rafael Leao

Fin qui, nulla di male. Anzi, vista la situazione del calcio italiano e l’arretratezza dei suoi impianti, un cambiamento potrebbe anche essere molto salutare. San Siro ha un fascino unico e per questo è famoso in tutto mondo, il suo museo è il più visitato della città (più dell’Ultima Cena di Leonardo!) ma ha anche un secolo di vita e chi lo frequenta sa che dimostra la sua età. Provate ad andare in bagno a fine primo tempo, dopo 45 minuti passate con le ginocchia del tifoso seduto dietro piantate nella schiena, o a vedere ondeggiare gli anelli superiori quando gli ultras saltellano a ritmo. Insomma, qualche lavoretto del quale discutere ci sarebbe senza dubbio, ma il problema sta nel fatto che sul Meazza si è creato un clima… da stadio, nel senso che ci si divide tra chi fa il tifo per la costruzione del nuovo impianto e chi invece sostiene la necessità di ristrutturare l’esistente. Siamo nell’era della polarizzazione, ma questo “derby” dicotomico non aiuta a comprendere bene la situazione e quindi a prendere la decisione migliore. Semplificare la questione riducendola alla scelta tra stadio vecchio e stadio nuovo, a una sfida tra passatisti e modernisti o, peggio, tra ambientalisti e cementificatori significa tagliare fuori diversi pezzi di un ragionamento che è ben più complesso e che merita di essere fatto con attenzione, visto che c’è di mezzo l’interesse pubblico.

Il dossier-stadio: tra calcio e business

Partiamo proprio da qui. Magari non tutti i tifosi sanno che San Siro appartiene al Comune di Milano, mentre il nuovo stadio sarà di proprietà dei due club. Ora, l’idea di abbattere un immobile di proprietà pubblica per costruirvi accanto una struttura con la medesima funzione, ma privata, non è una scelta banale. Certo, Sala è tutt’altro che uno sprovveduto e avrà già fatto tutti i calcoli del caso tra quanto Palazzo Marino incassa di affitto dai club e quanto spende per la gestione e la manutenzione della struttura. Non saranno certo gli inevitabili ricorsi al Tar o alla Corte dei Conti a togliergli il sonno, ma questo tema è determinante perché la questione sia ben chiara agli stakeholder: non solo tifosi e addetti ai lavori, ma anche i cittadini e tutti coloro che, nel mondo, frequentano e amano San Siro.

Tenere in piedi due stadi sarebbe una follia, su questo Sala ha perfettamente ragione. Con indiscutibile trasparenza, il primo cittadino ha spiegato che l’area dove oggi sorge lo stadio serve ai club per capitalizzare quelle volumetrie che, in base alla legge nazionale sugli stadi, spettano a chi ottiene il diritto di costruire un nuovo impianto. Quella zona specifica ha un valore ben superiore rispetto a Sesto San Giovanni e ad altre possibili soluzioni alternative, ma su questo torneremo a breve. La follia dei due stadi “gemelli”, frutto bacato di un compromesso al ribasso in consiglio comunale, avrebbe esposto la città al ridicolo, perché tenere in piedi una porzione del vecchio San Siro per farne “altro” (c’era chi, in piena trance agonistica, proponeva persino una parete da arrampicata) sarebbe molto più oltraggioso verso la storia che l’abbattimento totale. Piangeva il cuore anche ai londinesi quando sono stati abbattuti il vecchio Wembley o il mitico Highbury, ma il mondo va avanti e le cose cambiano. Visto che tutti citano, anche a casaccio, le best practice europee, è utile ricordare che non esiste un altro caso di stadi appaiati: l’unico era a Barcellona, ma il Mini Estadi è stato demolito e ora rimane solo il mitico Camp Nou.

As Napoli 25/02/2020 – Champions League / Napoli-Barcellona / foto Antonello Sammarcoi/Image Sport nella foto: Arthur Henrique Ramos de Oliveira Melo



Al di là delle bizzarre proposte di chi ha voluto cavalcare politicamente la situazione per macinare consenso, bisogna essere onesti e chiari. Per San Siro esistono solo due usi possibili: il calcio maschile e, nei mesi estivi, i concerti o altri eventi di simili portata. Il calcio femminile, che purtroppo è ancora in fase di lento sviluppo, come qualunque altra suggestione non ha le gambe per reggere un percorso di concretezza. Prima lo si capisce, meglio è. Quando Sala parla del rischio che “Milan e Inter vadano altrove” dice una cosa vera: il Comune è nella scomoda posizione del proprietario di casa che ha un solo affittuario a disposizione e quindi non ha forza contrattuale. Secondo voi, chi lo fa il prezzo? Non è un “ricatto”, come molti hanno scritto, ma una banale legge di mercato, anche se l’ipotesi che l’allegra brigata rossonerazzurra vada fuori città corrisponde comunque a un ripiego. Ma questo sempre per una ragione di interesse economico, perché è di questo che stiamo parlando: vogliono restare nei paraggi (anche l’Ippodromo La Maura è a due passi) perché le volumetrie della zona interessano più di altre, altrimenti non ci sarebbero ragioni per non traslocare.

San Siro e la città di Milano: tra urbanistica e ambiente

La zona dove si vorrebbe costruire il nuovo stadio è quindi al centro del dossier. La Maura è in Pieno Parco Agricolo Sud. Non ci sono invece vincoli sul quartiere San Siro, che non è certo “una landa desolata” (come è improvvidamente scappato a Scaroni durante una famosa assemblea pubblica), ma presenta spazi che fanno brillare gli occhi degli immobiliaristi, ai quali Milan e Inter sono pronti a rivendere i diritti acquisiti. Non è una congettura, lo ha spiegato con grande chiarezza Sala in persona. Per questo si è arrivati alla decisione di progettare il nuovo impianto a ridosso della via Tesio, a pochi metri dalle abitazioni, cosa che fa particolarmente arrabbiare il Comitato del No. C’è poi un Comitato del Sì, altrettanto attivo in quartiere, che vede di buon occhio l’arrivo di servizi oggi inesistenti, ma soprattutto c’è il “Parco dei Capitani”, intitolato alla memoria di Giacinto Facchetti e Cesare Maldini. Il nuovo stadio andrebbe a coprire proprio quell’area verde che fu inaugurata dal Comune nel 2015, dopo trent’anni di assoluto abbandono. In precedenza c’era il Palasport, crollato dopo la storica nevicata del 1985 e, nei trent’anni successivi, la zona è rimasta abbandonata e interdetta all’uso pubblico da imponenti cesate. Certo, il verde può essere recuperato nelle restanti aree del progetto, ma è comprensibile che la cosa susciti del malumore.

La vera nota stonata è ipotizzare uno stadio di nuova costruzione in un’area così fortemente conurbata, dove (nonostante l’apertura della linea 5 della metropolitana e il progetto di ZTL in occasione degli eventi) i residenti da decenni lamentano energicamente i problemi determinati dal parcheggio selvaggio, dal via-vai di spettatori e dal rumore che fa tremare i lampadari negli appartamenti. Se vogliamo prendere a riferimento i benchmark europei, tutti gli stadi moderni vengono edificati ben fuori dai centri urbani. Il Santiago Bernabeu sta nel centro di Madrid, certo, ma risale al 1947 e comunque il Real Madrid, che certo non è meno ambizioso di Milan e Inter, ha scelto di ristrutturarlo profondamente, non di abbatterlo, cosa che avrebbe avuto anche un potente impatto ambientale.

Real Madrid

Secondo lo studio di Paolo Pileri, ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano, che è stato pubblicato su Altraeconomia, “per demolire San Siro serve energia – e quindi emissioni – ipotizzate pari a 7.500 tonCO2e. Le macerie di San Siro dovranno essere smaltite e servono più o meno 23.400 viaggi di camion da 16ton/ciascuno con percorrenza di 80 chilometri: altre 9.500 tonCO2e circa saranno emesse. Le lavorazioni per il nuovo stadio emetteranno CO2e, che ipotizziamo ancora pari al 10% della produzione del cemento: quindi altre 7.500 tonCO2e. Occorreranno poi altri camion e altri viaggi per portare il nuovo cemento. Ipotizziamo lo stesso numero di viaggi fatti per smaltire le macerie: si aggiungono altre 18mila tonCO2e. Sommando tutte le emissioni ipotizzate fin qui, sono 210.500 le tonnellate di CO2e emesse, solo per il cemento armato. Senza demolire San Siro si eviterebbero emissioni per 117.500 tonCO2e”. Per quanto le due squadre abbiano una visione più ottimistica, il problema c’è: il costo rischia di essere molto gravoso sia in termini di inquinamento che meramente economici. E chi pagherebbe per la demolizione di un bene pubblico, destinato a favorire la nascita di uno privato? Questo è un altro punto nodale del dossier.

Perché Milan e Inter non ristrutturano San Siro?

Ma, allora, perché non rimodernare la struttura esistente, come suggeriscono molti, da Bruce Springsteen ad ASM Global, una società che gestisce centinaia di stadi nel mondo? Lasciamo che gli esperti si esprimano sulla fattibilità tecnica dell’intervento (a ognuno il suo mestiere), ma è chiaro che non si può obbligare un privato a spendere i propri soldi per un intervento che non vuole fare. Oltretutto su un immobile non suo. Infatti Sala a suo tempo aveva proposto a Milan e Inter di acquistare San Siro, per poi poterne disporre a loro piacimento. Sarebbe stata una soluzione migliore, ma per le predette leggi del mercato i due club hanno (comprensibilmente) fatto il proprio interesse, rispondendo picche. La ristrutturazione sarà pure virtuosa, ma non prevede quei diritti volumetrici che invece sono connessi a una nuova costruzione. Ovviamente è impensabile che a ristrutturare provveda il legittimo proprietario, il Comune di Milano: non è un caso che in tutto il mondo gli stadi di nuova costruzione siano di proprietà privata. Un tempo ci si spendeva soldi pubblici per creare consenso; oggi, giustamente, prevale la convinzione che il calcio-business debba provvedere da solo alle proprie esigenze, mentre il denaro del contribuente va impiegato per altri scopi. Eppure, l’Italia è una delle poche eccezioni, dove gli impianti privati sono una sparuta minoranza e il resto è proprietà pubblica. Oltretutto risalente all’epoca del fascismo, in molti casi. Infatti abbiamo molti stadi vecchi di un secolo, non solo a Milano.

Un’altra anomalia del progetto-San Siro sta nel ground-sharing ipotizzato da Milan e Inter. È vero che il calcio moderno prevede gli stadi di proprietà, ma ciascun club deve avere il suo impianto, da utilizzare per fare business sette giorni su sette, con attività accessorie. L’esempio più eclatante è quello di Londra (dove ci sono ben 11 stadi di calcio, più altri per sport differenti), ma non è un caso isolato. Al contrario, l’unico altro esempio di condivisione dello stadio, al di fuori dell’Italia, è Monaco di Baviera, ma dopo un solo anno di convivenza il Monaco 1860 ha lasciato la proprietà esclusiva ai più ricchi cugini del Bayern. E come funzionerebbe il matrimonio tra Milan e Inter, dal punto di vista economico? Oggi la capienza del Meazza è di 80.000 spettatori e spesso l’affluenza va oltre i 70.000, anche per partite non “di cartello”. Se per il nuovo impianto si prevedono intorno ai 55.000 posti, molti dei quali saranno riservati ai partner commerciali, il progetto di incrementare i ricavi del botteghino passa per una strada obbligata: l’aumento (rilevante) dei prezzi dei biglietti. Per capirlo non è che occorra essere manager scaltri come Scaroni e Zhang. Basta fare due conti e, nel dubbio, andare a vedere cosa è successo nella Premier League inglese: meno gente allo stadio, a costi più elevati, e gli altri davanti alla tv, così da massimizzare gli incassi da matchday sia dal vivo che nella commercializzazione dei diritti tv.

Tifosi Bayern Monaco

Il dado è tratto? Gli eventi scorrono inesorabili su un piano inclinato nel quale la politica, anche nei suoi migliori interpreti, può poco di fronte all’interesse economico? Non sembra questo il caso, perché l’improvvisa svolta del Milan su La Maura apre anche dei seri dubbi su cosa intenda fare l’Inter, che fino a poco fa marciava in coppia coi “cugini”. Insomma, questo sorprendente pasticcio è frutto di una serie di errori marchiani, sia di sostanza che di comunicazione. Il principale consiste nell’essere arrivati a questo punto della vicenda in un clima da tifoserie contrapposte, tra chi si barrica dietro la (necessaria) difesa dell’ambiente e chi invece vede con favore i cantieri, in un Paese nel quale i veti incrociati spesso bloccano le possibilità di sviluppo. Il fatto è che non siamo di fronte a un bivio tra fare e non fare. C’è anche una terza possibilità: quella di fare male. Ed è quella che tutti hanno interesse a scongiurare.