Una minorenne denuncia uno stupro di gruppo a Oppido Mamertina. La sua famiglia, legata alla ‘ndrangheta, tenta di costringerla al silenzio.
Oppido Mamertina, nel cuore dell’Aspromonte calabrese, è oggi il teatro di una vicenda sconvolgente per una minorenne. In un ambiente dove i rapporti familiari sono spesso più forti della legge e la cultura dell’omertà è radicata, una minorenne ha osato denunciare uno stupro di gruppo compiuto da giovani del paese, legati a famiglie della ‘ndrangheta. La sua denuncia, anziché proteggerla, l’ha condannata all’isolamento e alla violenza.

Un contesto soffocante nel cuore dell’Aspromonte
Da quel momento, la ragazza ha vissuto «l’inferno in terra». È stata isolata da amici, parenti e perfino dal proprio nucleo familiare, ad eccezione della madre. «Una scelta vergognosa per i suoi familiari», si legge nei verbali dell’inchiesta aperta dalla Procura di Palmi.
Le violenze della famiglia per soffocare la verità
Nel verbale dell’8 gennaio 2025, la ragazza racconta: «Mentre percorrevo la strada per recarmi presso un’anziana signora, al 2° piano della palazzina dove abita anche mia zia, venivo chiamata da quest’ultima che, attraverso il gesto delle braccia, mi faceva entrare nella sua abitazione, dove si trovava anche il figlio. Una volta dentro ho notato che mia zia aveva tra le mani una corda e senza un motivo specifico ha iniziato a colpirmi alle gambe e alla schiena. Ho cercato di divincolarmi, ma non mi è stato possibile poiché suo figlio me lo impediva trattenendomi per le braccia. Non sono riuscita a gridare perché mi hanno tappato la bocca. Mentre mi frustava mi apostrofava: “Devi morire, p…”».
Anche il fratello è coinvolto. «Dopo essere stata violentata mi sono recata alla Tonnara di Palmi, presso l’abitazione di mio fratello al quale ho raccontato della violenza subìta. Lui, oltre a non credermi, dopo avermi umiliata mi ha percossa con calci e pugni e mi ha minacciata con un coltello, con la moglie presente». La ragazza spiega al magistrato: «Il loro scopo era quello d’invitarmi a ritrattare le dichiarazioni dopo gli stupri subìti. Volevano farmi ritirare le denunce per consentire ai responsabili delle violenze sessuali di tornare in libertà».
Persino la castità diventa un’arma di controllo. «Mia zia mi ha aggredito, spintonandomi prima e poi scagliandomi addosso due taniche piene d’acqua che mi hanno colpito. Questo perché mi ha sorpreso a parlare per strada con un operaio del Comune che conoscevo di vista». In un altro episodio, la zia le propone: «Mi ha suggerito di fare una visita ginecologica per verificare se fossi ancora vergine o meno». Il tutto come riportato e scritto da corriere.it
Alla fine, la verità è emersa grazie al coraggio della ragazza. Le sue denunce hanno portato all’arresto della zia, del fratello e della cognata per violenza aggravata e lesioni. In un territorio dove il silenzio è spesso legge, la sua voce ha rotto una lunga catena di soprusi.