La storia rossonera di Nelson Dida, calamita e calamità negli anni d’oro del Milan di Ancelotti.

Nelson Dida Milan – La storia dei portieri brasiliani in Europa non è cominciata molti anni or sono. Ronaldinho dichiarava, qualche tempo fa, che l’apripista era stato Taffarel, sorta di ‘padre putativo’ di Doni (ex Roma), Julio Cesar (ex Inter) e Nelson Dida. Nelson de Jesus Silva, il portiere di Irará protagonista di due Champions con il Milan. Bagheera la pantera al culmine della carriera, collezionista di farfalle negli anni più bui. Ripercorriamo insieme i momenti salienti della carriera atipica di uno dei talenti più puri del calcio brasiliano e al contempo uno dei personaggi più controversi della recente storia rossonera.

Nelson Dida Milan: una storia di miracoli e incertezze

L’arrivo. Nelson Dida arrivò a Milano nel 1999, già ventiseienne, dopo una lunga militanza fortunata in Brasile tra le fila del Cruzeiro, laddove venne soprannominato ‘la muraglia azzurra’. Dopo una serie di prestiti tra Lugano e Corinthians (con cui vinse da protagonista il Mondiale per Club del 2000), anche per via di alcune questioni legali da risolvere, tornò a Milano nella stagione 2000/01. Il suo debutto in rossonero arrivò il primo novembre del 2000, in un Parma-Milan terminato 2-0 per i gialloblù. Non collezionò altre presenze in campionato, mentre giocò sei match in Champions League, prima di essere coinvolto nello scandalo passaporti che lo portò a una squalifica di sette mesi, sospesi con la condizionale. L’ennesimo prestito, nuovamente al Corinthians, gli serve per rigenerarsi fisicamente e mentalmente. Il ritorno a Milano sarà l’inizio della parte più fulgida della sua carriera.

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Road to Manchester. Il 2002 fu l’anno della svolta. Subentrò ad Abbiati nella gara del preliminare di Champions tra Milan e Slovan Liberec. Protagonista assoluto del match, venne promosso a titolare inamovibile da Ancelotti. Dopo una stagione di buonissimo livello un infortunio rischiò di fargli saltare l’evento dell’anno, la finale di Champions contro la Juventus a Manchester. Per un curioso caso, anche Buffon fu a rischio fino alla fine per un infortunio. Il match del secolo per il calcio italiano avrebbero potuto giocarlo Abbiati e Chimenti, e chissà che storia sarebbe stata scritta. Invece, sia l’estremo difensore brasiliano che il numero uno bianconero recuperarono, ascrivendo il proprio nome nella leggendaria gara. Durante i 120′ fu Buffon a rendersi protagonista di almeno un intervento miracoloso. La Juve non creò grandi occasioni, e così Dida dovette attendere i rigori per salire in cattedra. In Brasile già era conosciuto come un autentico fenomeno dei rigori. L’Europa lo scoprì quella sera.

La lotteria dei rigori. Al primo penalty dal dischetto si presentò David Trezeguet. A colpo sicuro, il francese mirò basso alla propria destra. Dida intuì, parò, e si rialzò d’un tratto, come se nulla fosse accaduto, dando la mano all’avversario impietrito. Per il MIlan andò a segno Serginho. Birindelli con un rigore perfetto riuscì a superare la pantera brasiliana, Seedorf si fece ipnotizzare da Buffon che, al culmine della gioia, esultò senza controllo, già pregustando una vittoria che non sarebbe mai arrivata. Il rigore successivo toccò a Zalayeta: il Panteron contro Bagheera. La battaglia fu vinta dal felino rossonero che, con un piccolo saltello sul posto, fece immaginare all’attaccante un tuffo che non c’era: tiro centrale, palla bloccata. Ancora inespressivo Dida, che si allontanò testa bassa dalla porta. Dal dischettò andò quindi Kaladze che colpì i piedi di Buffon in tuffo. Ancora salti e gioia per il bianconero, sconforto sul volto del georgiano. Quarto rigore per la Juve, l’incaricato fu Montero: il difensore calciò male, centralmente, Dida non si mosse e parò il terzo penalty della sua magica serata. Dopo i gol di Nesta e Del Piero dal dischetto si presentò Shevchenko che, con sguardo gelido, superò Buffon regalando la Champions al Milan. Impazzito di gioia, il suo primo pensiero fu correre a perdifiato per abbracciare il vero eroe, quel portiere brasiliano che, almeno per qualche minuto, mostrò un sorriso sul proprio volto di marmo. Dida era entrato nella storia, a 30 anni e dopo tantissima gavetta.

L’apice. La vittoria di Manchester lo consacrò, la stagione successiva lo confermò a livelli mondiali: 32 gare di campionato, 20 gol subiti, numerosissimi interventi decisivi, una Supercoppa europea in bacheca e uno scudetto conquistato a fine stagione. Fu inserito anche tra i candidati per il Pallone d’oro, piazzandosi al tredicesimo posto.

Il petardo. Quarti di finale di Champions League 2004/05, il Milan incrociò l’Inter. Dalla curva degli ultrà nerazzurri una torcia accesa colpì sulla nuca Dida. Il portiere si rialzò dopo pochi secondi, facendo cenno di star bene, che il colpo aveva causato solo una lieve scottatura. Sarà suggestione, sarà realtà, ma da allora il brasiliano non fu più lui. A Istanbul non riuscì a ripetersi, ma i postumi dell’incidente si cominciarono a vedere particolarmente dalla stagione successiva. Ancora titolare inamovibile, Dida inanellò topiche clamorose contro l’Inter, il Parma, la Sampdoria, alternando il tutto ad alcuni miracoli degni della pantera di due stagioni prima. Stesso andamento nel 2006/07. Dida continuava a ricoprire il suo ruolo da titolare, ma senza dare alcuna garanzia. Era sì in grado di compiere interventi al limite del prodigioso, ma in questa fase della sua carriera si ricordano soprattutto gli errori che superavano il limite del ridicolo. Fu comunque lui il portiere che alzò la Champions ad Atene, vendicando Istanbul, riuscendo anche a farsi notare per alcuni interventi decisivi.

Il declino definitivo. Iniziò bene la stagione 2007/08, salvo incappare in un’ennesima topica clamorosa contro il Siena. Da allora, non fu più lui. Il 3 ottobre 2007, dopo aver subito due gol dal Celtic, fu protagonista di una sceneggiata indegna nel finale di gara, quando un tifoso scozzese, entrato di soppiatto in campo, lo prese in giro rifilandogli un leggerissimo colpetto sul viso. Dida in preda ai nervi provò a inseguirlo, salvo poi gettarsi a terra e fingere di aver subito un vero e proprio gancio al volto, tanto da chiedere la sostituzione. L’Uefa non accettò il suo comportamento e lo squalificò per due turni. Ormai senza più alcuna certezza né autostima, venne mandato in campo fino a quando un infortunio non permise al suo secondo, l’australiano Kalac, di mettersi in mostra e guadagnarsi il posto da titolare. Le stagioni successive furono migliori. Riserva prima di Abbiati, poi di Storari, fu in grado di farsi apprezzare quando chiamato in campo, tornando titolari per periodi di media lunghezza e riuscendo a superare quota 300 gare in rossonero. Nel luglio del 2010, alla scadenza del contratto, salutò il Milan dopo nove stagioni, per chiudere la propria carriera in Brasile.

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ultimo aggiornamento: 04-07-2017


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