Svelate le motivazioni della condanna all’ergastolo per Filippo Turetta: le parole della Corte d’Assise sull’omicidio di Giulia Cecchettin.
La Corte d’Assise di Venezia ha reso pubbliche le motivazioni che hanno portato alla condanna all’ergastolo di Filippo Turetta per l’omicidio di Giulia Cecchettin. Il delitto, avvenuto nel 2023, è stato analizzato nella sua brutalità e nella freddezza dell’autore. Nel frattempo, Gino Cecchettin continua la lotta contro i femminicidi ed intervenuto sull’omicidio di Sara Campanella.

Le motivazione dell’ergastolo a Filippo Turetta
Secondo quanto riportato nella sentenza, come scritto da Fanpage, Filippo Turetta è stato condannato all’ergastolo senza attenuanti generiche per “l’efferatezza dell’azione, della risolutezza del gesto compiuto e degli abietti motivi di arcaica sopraffazione che tale gesto hanno generato: motivi vili e spregevoli, dettati da intolleranza per la libertà di autodeterminazione della giovane donna, di cui l’imputato non accettava l’autonomia delle anche più banali scelte di vita“.
La Corte d’Assise ha chiarito che il movente è radicato in una concezione possessiva e violenta della relazione. Dove la libertà di Giulia Cecchettin rappresentava per l’assassino qualcosa di inaccettabile.
La condotta dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin
Nelle motivazioni si evidenzia anche come l’imputato abbia mantenuto “lucidità e razionalità” dopo il delitto. I giudici parlano di una “chiara e innegabile volontà di nascondere il corpo in modo quantomeno da ritardarne il ritrovamento“.
“La scelta del luogo in cui abbandonare il cadavere, la distanza rispetto alla zona in cui si è consumato il delitto, le modalità in cui il corpo è stato lasciato, sono elementi che fanno ritenere integrati sia l’elemento oggettivo sia quello soggettivo del reato“, aggiungono i giudici della Corte D’Assise sull’omicidio di Giulia Cecchettin.
Inoltre, si sottolinea che nella sua confessione, Filippo Turetta “si è limitato ad ammettere solo le circostanze per le quali vi era già ampia prova in atti d’altra parte“. Mostrando un atteggiamento reticente e poco collaborativo. Dalle intercettazioni in carcere con i genitori, si evince inoltre che il giovane “fosse a conoscenza del fatto che, oltre agli elementi fino ad allora emersi, vi era molto altro a suo carico, eppure si è guardato bene dal riferirne in sede di interrogatorio“.
La sentenza conclude che “gli elementi oggettivi raccolti non lasciano spazio ad alcuna ricostruzione alternativa possibile della vicenda“.