Caso Matteuzzi, la verità bomba sul delitto: “L’irresistibile desiderio, l’insana gelosia”

Caso Matteuzzi, la verità bomba sul delitto: “L’irresistibile desiderio, l’insana gelosia”

La Corte d’Assise di Bologna delinea il movente dietro l’assassinio di Alessandra Matteuzzi.

In una sentenza che ha sconvolto l’opinione pubblica, i giudici della Corte d’Assise di Bologna hanno condannato all’ergastolo l’ex calciatore Giovanni Padovani per l’omicidio di Alessandra Matteuzzi, 57 anni.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il movente – secondo la Corte – dietro questo efferato crimine non è stato un attacco di gelosia, ma una ben più sinistra vendetta.

Omicidio Matteuzzi: la motivazione dietro la sentenza della Corte

Non è legato a una ‘insana gelosia dell’imputato, la quale, semmai, costituì il movente degli atti persecutori, ma a un irresistibile desiderio di vendetta.” hanno affermato i magistrati.

Definendo l’azione non come un “omicidio d’amore” ma piuttosto come un “omicidio d’onore” in una sua malintesa accezione, i giudici hanno evidenziato un movente ancor più disturbante.

L’agguato mortale su Alessandra Matteuzzi non è stato un impulso momentaneo, ma il risultato di una pianificazione dettagliata e premeditata, iniziata fin da giugno e luglio 2022. La Corte ha sottolineato come l’azione fosse “maturata e radicata“, con preparativi che includevano la selezione dell’arma e del luogo dell’attacco.

Una pianificazione meticolosa

Preannunciata nelle confidenze fatte a terzi e alla madre, nelle annotazioni sul cellulare, e poi attuata secondo un piano predeterminato, comprensivo della scelta dell’arma da usare e del luogo in cui colpire,” i giudici hanno descritto un quadro di premeditazione e fredda determinazione.

Contrariamente a quanto Padovani ha cercato di far credere durante il processo, dimostrandosi talvolta psichicamente instabile, la Corte ha visto attraverso questa facciata.

Le “bizzarrie comportamentali” e le dichiarazioni in aula sono state interpretate come un tentativo di simulare una fragilità mentale inesistente. La perizia psichiatrica ha rafforzato questa tesi, indicando che in alcuni casi l’imputato aveva effettivamente simulato sintomi psicotici.

Di conseguenza, la sentenza dell’ergastolo riflette la gravità e la premeditazione dietro l’omicidio di Alessandra Matteuzzi.

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