Il Parkinson colpisce sempre più under 60. Ecco svelate le nuove diagnosi, nuove terapie e un dato sorprendente.
Il Parkinson non è più solo una malattia degli anziani. Secondo i dati, cresce il numero di diagnosi tra i 40 e i 60 anni, con implicazioni che vanno oltre l’ambito medico e toccano lavoro, famiglia e benessere psicologico. Sapevi che guardare più di 5 ore di televisione al giorno aumenta il rischio? Ecco l’allarme che emerge dall’indagine dell’Iqvia.

Come è cambiato il trattamento per il Parkinson
Nonostante la L-Dopa rappresenti ancora il 40% delle prescrizioni, come riportato da Adnkronos.com, l’analisi Iqvia segnala una lenta trasformazione delle terapie. L’utilizzo degli inibitori della monoamino ossidasi è salito dal 24% al 29%, mentre gli agonisti della dopamina sono scesi dal 25% al 18%. Le scelte terapeutiche si stanno diversificando in base alla progressione della malattia e alle caratteristiche dei pazienti.
Tra i farmaci più usati emergono la rasagilina, la selegilina e la safinamide, tutti appartenenti alla classe degli inibitori Mao. Gli agonisti della dopamina come apomorfina, pramipexolo e ropinirolo vengono impiegati con maggiore selettività. Presenti anche, seppur in misura minore, gli inibitori della catecol-O-metiltransferasi (4%) e gli anticolinergici (8%), usati soprattutto nei pazienti più giovani con sintomi marcati di tremore.
L’abbassamento dell’età in cui si riceve diagnosi
L’esordio del Parkinson a partire dai 40 anni cambia profondamente il vissuto dei pazienti. Non si tratta più solo di affrontare i sintomi, ma di riorganizzare la vita quotidiana, l’attività lavorativa e la gestione familiare.
In un anno, 16mila persone hanno iniziato un trattamento per la prima volta. Tuttavia, l’accesso alle cure non è omogeneo in Italia: Liguria, Abruzzo e Marche registrano una maggiore concentrazione di pazienti in terapia, mentre Lombardia, Emilia Romagna e Trentino mostrano numeri più bassi. Anche per via della distribuzione della popolazione anziana e delle diverse politiche sanitarie regionali. Diventa quindi fondamentale sviluppare percorsi di cura multidisciplinari che coinvolgano diversi rami della medicina.