Patrick Zaki svela tutto: “Perché ho chiamato Netanyahu serial killer”

Patrick Zaki svela tutto: “Perché ho chiamato Netanyahu serial killer”

Fa chiarezza Patrick Zaki riguardo le parole recenti sul primo ministro di Israele Netanyahu da lui definitivo serial killer.

Le parole sulla guerra Israele-Hamas, ma anche la spiegazione sulle dure dichiarazioni verso il primo ministro di Israele Netanyahu e, infine, il racconto della sua esperienza in carcere in Egitto. Patrick Zaki si apre a 360° al Corriere della Sera prendendo una posizione forte sul conflitto e non solo.

Patrick Zaki, la posizione sulla guerra Israele-Hamas

Patrick Zaki

In occasione dell’uscita del suo libro, Zaki è stato intervistato su diversi temi. In primi sulla sua posizione contro Israele manifestata sui social e anche in diverse altre occasioni: “Io sono contro l’attuale governo di Israele e le politiche che ha seguito negli ultimi anni. E non sono l’unico a pensarla così […]”.

Da qui l’affermazione su Netanyahu definitivo serial killer: “Cosa mi è venuto in mente? Ho pensato a tutti i civili, a tutte le persone tra cui donne e bambini che sono state uccise a Gaza negli ultimi anni, alla mia cara amica Shireen Abu Akleh, la giornalista che è stata uccisa l’anno scorso da soldati israeliani mentre lavorava in Cisgiordania”.

Poi, però, nuove precisazioni: “Io sono contro tutti i crimini di guerra. Condanno l’uccisione di civili. L’ho già ribadito più volte in diverse interviste. Sono un militante pacifico per i diritti umani e sono contro ogni forma di violenza. Credo che adesso sia il momento di pensare a come risolvere la situazione e lavorare per la pace in questa parte del mondo”.

“Se condanno Hamas? Certo. Io non ho nulla a che fare con Hamas! Sono cristiano e sono di sinistra, non sono un integralista islamico. In Egitto quelli come me vengono uccisi dagli integralisti islamici. Nel 2014 raccolsi aiuti umanitari per Gaza ma mi dissero che era meglio che non andassi a portarli, perché non sarei stato il benvenuto. Io sono per la Palestina, non per Hamas. E spero che tutti gli ostaggi siano liberati. Tutti, a cominciare dagli italiani. Non dimentico che l’Italia si è battuta per la mia libertà”.

L’esperienza in carcere e le botte

Nel corso dell’intervista, anche alcuni dettagli che fanno riferimento alla sua detenzione in Egitto raccontata appunto nel libro dal titolo ‘Sogni e illusioni di libertà’.

“Mi aspettavano all’aeroporto del Cairo da due giorni. Mi hanno strappato il permesso per l’Italia, mi hanno rotto gli occhiali. Mi hanno insultato. E hanno iniziato a picchiarmi”, ha spiegato Zaki.

“Calci, pugni, botte sulla schiena. E minacce: “Non uscirai fuori di qui”, “non vedrai mai più la luce del sole”. Io sono rimasto concentrato. Sapevo come comportarmi: non dovevo mostrarmi debole. Se li facevo arrabbiare, meglio. Se capivano che avevo paura, era la fine”.

Duro il racconto anche sul carcere e gli interrogatori: “Gli interrogatori sono brevi. Ti sballottano di continuo dentro e fuori la cella; e in ogni cella c’è sempre una spia della polizia […]”.

“Se mi hanno torturato? Mi hanno messo un adesivo sulla pancia, non capivo perché. Poi, quando mi hanno applicato gli elettrodi, ho realizzato che serviva a nascondere i segni delle scariche elettriche. Come sono? Terribili. Ma quelli sono professionisti. Sono attenti a non lasciare tracce sui corpi. […]”