Le possibili opzioni per andare in pensione prima nel 2026. Cosa prevede la Manovra: conferme, novità e misure a rischio.
Nel 2026 il sistema pensionistico italiano potrebbe affrontare una svolta significativa. La nuova Legge di Bilancio, ancora in fase di definizione, introduce elementi di forte discontinuità rispetto agli ultimi anni, in particolare per quanto riguarda gli strumenti di pensione anticipata. A fronte di una spinta al contenimento della spesa pubblica, alcune misure agevolate sembrano destinate a essere archiviate, mentre altre vengono confermate o riformulate. Il contesto è quello di una progressiva innalzamento dell’età pensionabile — attualmente fissata a 67 anni — che, secondo le stime, potrebbe crescere ulteriormente nei prossimi anni (dal 2027) a causa dell’aumento dell’aspettativa di vita.

Le prime certezze: addio a Opzione Donna e Quota 103
Una delle novità più rilevanti riguarda il probabile addio a Opzione Donna, misura che ha garantito per anni alle lavoratrici una via d’uscita anticipata, pur con ricalcolo interamente contributivo. La proposta di proroga, avanzata in Senato, è stata respinta per mancanza di coperture finanziarie. Senza un intervento dell’ultimo minuto, questa possibilità dovrebbe sparire già dal 1° gennaio 2026. Un’evoluzione che colpisce soprattutto le donne con carriere discontinue, spesso caratterizzate da part-time, maternità e periodi di assistenza familiare.
Anche il futuro di Quota 103 appare incerto. Attualmente permette di accedere alla pensione con 62 anni di età e 41 di contributi, ma non figura tra le misure prorogate nella bozza della Manovra. Si profila così un ritorno al sistema standard previsto dalla Legge Fornero, che richiede 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne, senza limiti anagrafici. Resta in discussione una sua possibile rimodulazione, ma al momento non sono previsti rinnovi ufficiali.
L’Ape Sociale resta, si studiano nuove soluzioni per i giovani
Tra le poche certezze, c’è la conferma dell’Ape Sociale, destinata a soggetti fragili come disoccupati, caregiver o addetti a lavori usuranti. Accessibile dai 63 anni e 5 mesi con almeno 30-36 anni di contributi, si configura come un’indennità ponte fino alla pensione di vecchiaia. I numeri, però, restano contenuti: nel 2024 non sono stati superati i 20.000 beneficiari, segno che i criteri sono ancora molto restrittivi.
Parallelamente, si sta discutendo una proposta innovativa: valorizzare i periodi di apprendistato, stage e tirocini non retribuiti o scoperti contributivamente. L’obiettivo è compensare i percorsi lavorativi frammentati delle nuove generazioni, spesso penalizzate in termini di anzianità. La misura, promossa da Fratelli d’Italia, prevede una forma di riscatto simile a quella per gli anni universitari, subordinata all’assunzione successiva. Si tratta ancora di un’ipotesi, ma il dibattito è aperto e potrebbe tradursi in un importante strumento di equità intergenerazionale.