Quanto costerà al governo italiano il nuovo rialzo dei tassi di interesse BCE?
Gli uffici del Tesoro, di Palazzo Chigi e Banca d’Italia sono già al lavoro per quantificare l’impatto dei tassi al 4,50% (nuovo livello record) sia sul debito pubblico, sia sulle disponibilità (e le ambizioni) di spesa del governo nella manovra economica 2024.
Con l’economia europea in stallo e quella italiana in frenata, infatti, l’impennata del costo degli interessi sugli oltre 2.800 miliardi di euro di debito sovrano rischia di azzerare non solo i fondi per la crescita, ma anche quelli per le riforme strutturali più urgenti, come il fisco, il lavoro e le pensioni.
A complicare la situazione sono poi i dati sulla dinamica del fabbisogno, in aumento continuo, e il fatto che il conto corrente del Tesoro presso la Banca d’Italia abbia una disponibilità di appena 40 miliardi di euro, a fronte di valori fra 80 e 100 miliardi negli anni precedenti. Lo spazio fiscale per manovre espansive, malgrado i proclami dei partiti di opposizione, insomma, è pressoché nullo.
Ciò non significa che il governo non possa fare politiche economiche, ma deve farle trovando le risorse all’interno della manovra e non aumentando il deficit. E soprattutto il debito: comunque finisca il confronto sul nuovo Patto di Stabilità – se si troverà un accordo, se ci sarà un nuovo slittamento oppure se, come auspica il ministro delle Finanze tedesco, in assenza di accordo rientreranno in vigore le vecchie regole – l’unica certezza è che il vincolo del 3 per cento sull’indebitamento netto sarà confermato anche se la proposta della Commissione venisse approvata.
Sappiamo anche che la Commissione, pur tenendo conto del processo di rientro di molti Paesi verso questo obiettivo, ha detto che nel 2024 potrebbe aprire una procedura di infrazione (EDP) nei confronti dei Paesi che non soddisfano il vincolo. L’Italia è ovviamente in testa alla lista: in una tale evenienza, la BCE potrebbe essere costretta a escludere i BTP dagli acquisti di bond sovrani in caso di difficoltà finanziarie del Tesoro.
Che fare?
“La prima questione che deve affrontare il governo nei prossimi giorni – conferma l’Osservatorio sui Conti Pubblici dell’Universita’ Cattolica del Sacro Cuore – è se mantenere gli obiettivi di finanza pubblica definiti nel Def dell’aprile scorso o se discostarsene alla luce di possibili cambiamenti del quadro macroeconomico, nonché delle tante richieste di maggiori spese – o tagli di tasse – che vengono da molti settori della maggioranza. La nostra opinione è che la scelta giusta sia quella di confermare, a grandi linee, gli obiettivi di fondo del Def, se mai con una maggior prudenza giustificata dall’incertezza del quadro macroeconomico e dell’evoluzione in corso d’anno del fabbisogno del settore pubblico. Spazio per manovre espansive non c’è, e non è chiaro se vi siano anche solo i 4,5 miliardi che erano stati annunciati nel Def. E non è corretto dire che vi saranno spazi aggiuntivi (per 1,5 miliardi nel 2024) dovuti alla “spending review”, o alla famigerata tassa sugli extra profitti delle banche”.
Ciò non significa che il governo non possa fare politiche economiche, ma che deve farle trovando le risorse all’interno della manovra e non aumentando, come detto, il deficit e soprattutto il debito.
Il record del debito pubblico
Nel giugno scorso, infatti, il debito italiano è salito a 2.843 miliardi, nuovo record storico, con un aumento di quasi cento miliardi sul mese di gennaio: nel DEF 2023, il Governo ha stimato un debito di 2.870 miliardi per la fine dell’anno, pari a oltre il 140% del Pil, ma la cifra potrebbe salire ulteriormente. Ebbene, per avere un’idea della spesa aggiuntiva generata dai Super-tassi BCE su questa cifra abnorme, è utile uno studio pubblicato dall’Osservatorio sui Conti Pubbici. “L’effetto di un aumento dei tassi sulla spesa per interessi – è evidenziato nella ricerca – dipende da quanto rapidamente l’aumento si estende ai nuovi titoli emessi e quindi dalla composizione per scadenza dei titoli di Stato”.
I tassi di interesse sui titoli di Stato decennali sono volati alle stelle negli ultimi due anni: dall’1,1% di fine 2021 al 4,50% del settembre 2023. Una crescita esponenziale concepita per combattere l’inflazione, ma quasi insostenibile per un paese indebitato come il nostro. Basti pensare che sulla base del solo indebitamento di un anno fa, l’aumento di 1 punto percentuale dell’aprile 2022 ha comportato una maggior spesa per interessi di 3 miliardi nei primi 12 mesi, di cui circa un miliardo legato alle emissioni di nuovo debito per coprire il deficit (96 miliardi nei primi 12 mesi).
“Negli anni successivi – spiegano i ricercatori della Cattolica – il costo cresce via via che nuovi titoli vengono emessi per sostituire i vecchi (892 miliardi di titoli scadono entro aprile 2027). Complessivamente, nei primi 5 anni da quando i tassi sono saliti dall’1,1% al 2,5% (aprile 2022) la maggior spesa per interessi, per il rinnovo dei titoli in scadenza, sarebbe stata di 39,4 miliardi: ora che sono più del doppio, anche la spesa sugli interessi è destinata a salire a passi da gigante. Ecco perché è importante arrivare presto a una decisione sul patto di stabilità. Ed ecco perché è fondamentale che l’Italia ratifichi presto il Mes, il nuovo meccanismo salva-Stati.”
Come ha detto la stessa premier Giorgia Meloni ai partner della coalizione, serve realismo e senso di responsabilità. Quello che serve anche all’opposizione.