“Quanto deve pagare ancora?”, chiede l’ex moglie di Renato Vallanzasca, ex “boss della Comasina” affetto da un decifit cognitivo.
A Renato Vallanzasca, ex boss della mala milanese in carcere da 52 anni, è stata negata la detenzione domiciliare in una struttura per essere curato. La ex moglie, Antonella D’Agostino, scrive una lettera all’ANSA chiedendo “pietà” per il suo ex marito.
La lettera di Antonella D’Agostino
“Quanto deve pagare ancora? Dopo 50 anni di carcere e una condizione di salute precaria, anzi peggio”, scrive Antonella D’Agostino. “Rifiutare le misure alternative a Renato Vallanzasca significa non solo condannarlo al carcere a vita, cosa che già è avvenuta e all’impossibilità di vivere uno stralcio di normalità, ma anche umiliare un uomo ormai ridotto all’ombra non di quello che era, ma di quello che tutti hanno pensato che fosse”.
Nella lettera, la donna ricorda che l’ex marito “ha vissuto otto anni in semilibertà e poi ai domiciliari senza fare niente di male. E quando portò via quelle mutande dal supermercato capii che nel suo cervello qualcosa aveva cominciato a non funzionare”.
“Da fuori ho sofferto ogni volta che ho visto quelle sue smargiassate che lo hanno reso il ‘Bel Renè’ soprannome che ha sempre odiato ma siccome faceva figo se lo è tenuto”, continua Antonella D’Agostino. Così, chiede: “Quanto deve pagare ancora perché possa morire in pace? E sia chiaro non da uomo libero, ma affidato a una struttura”.
“Ormai lo avete piegato per sempre. Dimentichiamo gli occhi azzurri e il suo fascino. E’ l’ombra di sé stesso. Una larva umana. Che forse merita un po’ di pietà. A meno che 50 anni di carcere vi sembrino pochi”, conclude.
Come sta Renato Vallanzasca?
La difesa dell’ex boss Renato Vallanzasca, Corrado Limentani e Paolo Muzzi, avevano chiesto i domiciliari in una comunità per il detenuto. Per il pubblico ministero, però, la sua salute è ancora compatibile con il carcere, negando quindi la richiesta.
La difesa aveva depositato una documentazione medica di due neurologi, che spiegano che Vallanzasca da almeno quattro anni soffre di un decadimento cognitivo. Poi, il Tribunale di sorveglianza ha respinto la richiesta di differimento pena perché, pur riconoscendo sì il decadimento cognitivo e il lento e progressivo aggravamento del quadro clinico, hanno precisato che il detenuto, ormai 73enne, può essere curato in carcere.