La riforma Cartabia della Giustizia riparte dal vaglio in Senato.
Dopo il record di astensione alle urne per il referendum sulla giustizia, ora la riforma riparte dal Parlamento. L’obiettivo è chiudere la discussione entro la fine di questa settimana. Ma la Lega ha intenzione di rallentare il tutto votando a tutti gli emendamenti proposti anche da Italia Viva e Fratelli d’Italia.
Il governo vuole un sì veloce e definitivo su questa riforma della Giustizia. Mentre le modifiche potrebbero respingere il testo alla Camera in un pericoloso gioco dell’oca. Come per il ddl concorrenza anche qui rischia di entrare in gioco il voto di fiducia. A chiedere modifiche alla Riforma anche i magistrati soprattutto per la parte relativa alla separazione delle funzioni – oggetto di uno dei cinque quesiti referendari.
Fermo al 20% il referendum non ha raggiunto il quorum. Ma dai dati emersi ha vinto il sì per quasi tutti i quesiti come conferma anche la responsabile Giustizia della Lega l’avvocata penalista Bongiorno. I sì rivelati dai risultati hanno galvanizzato la Lega e li spinge a votare tutti gli emendamenti e ad andare avanti su questa strada. Per l’avvocata Bongiorno la riforma Cartabia non è una vera e propria riforma incisiva ma solo “un restyling del sistema” mentre quella vera sarebbe una costituzionale.
Oggi c’è la riunione dei ministri Cartabia e D’Incà con i capigruppo della maggioranza in commissione al Senato. “Il voto popolare è una sonora bocciatura di un disegno di riforma della magistratura che non è gradito. Si tratta di prenderne atto” ha detto il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia che ora invita il Parlamento a modificare la riforma del Csm alla luce dell'”indicazione popolare molto forte” dei referendum. “Il voto dà la misura che la ministra e il governo si stanno muovendo in direzione contraria a quella che è la sensibilità del corpo elettorale” sottolinea.
Risultato è comunque negativo per Matteo Salvini che paga lo scotto del referendum e delle amministrative. Unito alle polemiche che lo hanno travolto in politica estera e le baruffe con la collega Meloni lo spingono in fondo ad un baratro che non aveva ancora mai conosciuto.