Fabio Savi, uno dei componenti della Banda della Uno bianca, ha chiesto al tribunale di Sorveglianza di poter ottenere il lavoro esterno.
Il tribunale di Sorveglianza di Milano ha deciso di respingere il reclamo di Fabio Savi, il capo degli assassini che facevano parte della Banda della Uno bianca. A quest’ultimo il tribunale ha negato il lavoro esterno. A prendere la decisione il collegio presieduto da Giovanna Di Rosa, giudice a latere Simone Luerti.
Il rigetto era arrivato già precedentemente anche dalla Procura generale. L’uomo si trova recluso in carcere dal 1994. Savi fu responsabile dell’uccisione di 23 persone e del ferimento di oltre 100. Nel 1987 un gruppo di criminali, noto come “La Banda della Uno Bianca”, mise a segno numerosi colpi. Alcuni dei malviventi erano poliziotti.
La Banda della Uno Bianca nacque in Emilia-Romagna, verso il 1987. Era nota per gli efferati crimini commessi, e prese il nome dall’omonima macchina che erano soliti utilizzare per compiere i misfatti. La Banda della Uno Bianca era un’organizzazione criminale che operava in Italia, specialmente il Emilia-Romagna.
Tra il 1987 e il 1994 la banda commise un totale di 103 reati. Si trattava per la maggior parte di rapine a mano armata, che nel complesso hanno provocato la morte di 24 persone e il ferimento di altre 102. Il nome della banda deriva dall’automobile che il gruppo di criminali utilizzava: una Fiat Uno bianca rubata, diffusissima in Italia in quel periodo.
Chi erano i membri della banda?
La banda era composta da Roberto Savi, detto il Monaco, di professione capo pattuglia. Fabio Savi, che successivamente collaborò con la polizia per far arrestare la banda. Alberto Savi e Pietro Gugliotta, due poliziotti. Marino Occhipinti, membro minore della banda. Infine Luca Vallicelli, il meno implicato nelle azioni criminali.
Il capo della Banda della Uno Bianca era proprio Roberto Savi, il capo della Questura di Bologna. I primi reati della banda risalgono al 1987: il gruppo rapinò un casello situato sull’autostrada di Pesaro. Ma la banda ben presto decise di attuare colpi più importanti, in quanto le rapine ai caselli non fruttavano granché. Passarono alle estorsioni, stavolta la vittima era un venditore d’auto di Rimini, che aveva però avvertito la polizia.