Le dimissioni chieste agli altri e il garantismo invocato per sé. Daniela Santanchè al centro di un nuovo caso politico dopo il processo Visibilia.
Daniela Santanchè, ministra del Turismo, è sotto processo per il caso Visibilia, ma respinge categoricamente l’idea di dimettersi. La sua linea è chiara: difendere il garantismo e respingere quella che definisce una “gogna mediatica”.
Santanchè non si dimette: le sue richieste del passato
Eppure, nella sua lunga carriera politica, Santanchè è stata protagonista di numerose richieste di dimissioni nei confronti di colleghi politici, italiani e internazionali.
Nel corso degli anni, la ministra del Turismo non ha risparmiato critiche e inviti al passo indietro verso figure di spicco del panorama politico.
- 2013: Chiede le dimissioni di Giulio Terzi di Sant’Agata, allora ministro degli Esteri. Paradossalmente, Terzi sarà poi eletto senatore con Fratelli d’Italia, lo stesso partito di Santanchè.
- 2017: Invoca le dimissioni di Maria Elena Boschi, allora sottosegretaria alla presidenza del Consiglio nel Governo Gentiloni.
- 2018: Si spinge oltre i confini italiani chiedendo la testa di Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, definendolo “cretino”.
- 2019-2021: Tra i bersagli, figurano Lorenzo Fioramonti, Alfonso Bonafede, Manlio Di Stefano, Nicola Morra, Lucia Azzolina, Roberto Speranza e Luciana Lamorgese.
- 2022: Attacca il Governo Draghi, chiedendo le dimissioni dell’allora premier.
Il processo per il caso Visibilia, legato a presunte irregolarità finanziarie, vede Santanchè al centro di una bufera mediatica. Ma la ministra respinge l’accanimento: “Non ho intenzione di dimettermi. Bisogna rispettare la presunzione di innocenza, come previsto dalla Costituzione”.
Questa dichiarazione stride con le numerose occasioni in cui la stessa Santanchè ha invocato dimissioni immediate nei confronti di altri politici, senza attendere il corso della giustizia.
Il paradosso e l’incoerenza
La vicenda ha aperto un dibattito sulla coerenza e sull’uso strumentale del garantismo. Se da un lato Santanchè difende il suo operato con fermezza, dall’altro viene accusata di aver spesso negato lo stesso principio ai suoi avversari politici.
Il caso è destinato a tenere banco nel panorama politico italiano, sollevando interrogativi sulla responsabilità e sull’etica nella gestione del potere e, ben presto, potrebbe trasformarsi in un vero “paradosso”.