Sharon Verzeni, rivelazioni shock dai testimoni: l’assurdo “gesto” dell’assassino prima della fuga

Sharon Verzeni, rivelazioni shock dai testimoni: l’assurdo “gesto” dell’assassino prima della fuga

Due testimoni raccontano un dettaglio cruciale che ha incastrato l’assassino di Sharon Verzeni: un “gesto” inaspettato prima della fuga.

Nella notte tra il 29 e il 30 luglio, Sharon Verzeni, una barista di 33 anni, è stata brutalmente uccisa a Terno d’Isola, in provincia di Bergamo. Le indagini hanno preso una svolta decisiva grazie alla testimonianza di due giovani di origine marocchina,

L’incontro fortuito dei due giovani con Moussa Sangare – un uomo di 31 anni di origini nordafricane – ha contribuito a identificare il colpevole.

I due testimoni hanno raccontato a Repubblica il momento in cui hanno incrociato il presunto assassino e ricordando chiaramente una “gesto” che ha rivolto loro prima di allontanarsi in bicicletta.

Lo strano “gesto” dell’assassino di Sharon Verzeni prima di fuggire

Io mi sto allenando per il titolo italiano di kickboxing, ho l’incontro il prossimo 21 settembre” – ha dichiarato uno dei giovani testimoni – “Lui gioca a calcio in prima categoria. Quella sera eravamo usciti come al solito molto tardi per allenarci“.

Era più o meno mezzanotte, eravamo a Chignolo vicino alla farmacia e davanti al cimitero dove ci siamo fermati per fare delle flessioni (…) Lui ci è rimasto impresso, perché era un po’ strano”.

I due descrivono così l’assassino: “Aveva una bandana in testa e un cappellino, uno zaino e gli occhiali. Ci ha fissato a lungo e poi ci ha fatto una smorfia. Non lo avevamo mai visto prima“.

Il contributo di questi due giovani è stato determinante per le indagini. Dopo essere stati convocati dai carabinieri, hanno descritto con precisione l’incontro con Sangare, fornendo dettagli importanti.

Abbiamo raccontato di quel ragazzo quando siamo stati chiamati in caserma. Siamo rimasti sorpresi, non abbiamo mai pensato che l’assassino potesse essere lui“, hanno confessato.

Il rimorso dei due testimoni

Nonostante il sollievo per aver aiutato a catturare l’assassino, i due testimoni non possono fare a meno di provare un profondo rimpianto per non essere riusciti a salvare Sharon Verzeni.

Il rimpianto che ci resta è di non aver potuto fare qualcosa per Sharon. Non essere stati più vicini a via Castegnate“, hanno affermato con voce carica di emozione.

Riflettendo sulla loro esperienza, hanno ipotizzato che Sangare abbia visto nella vittima una “preda facile“, mentre davanti a loro, atleti in allenamento, abbia scelto di non agire.

Magari l’assassino ha visto una preda facile, come quei due ragazzini che voleva aggredire. Quando ha incrociato noi, invece, ci ha solo guardato male ed è andato avanti“, hanno concluso.

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