Il 7 agosto 1990, in via Poma a Roma, viene ritrovato senza vita il corpo di Simonetta Cesaroni. Rimarrà un delitto impunito con l’assoluzione dell’imputato in Cassazione.
La sera del 7 agosto 1990 si verifica un caso di cronaca nera destinato a provocare grande sconcerto nell’opinione pubblica e che, a distanza di anni, rimarrà senza un colpevole. E’ il famigerato delitto di via Poma: Simonetta Cesaroni, giovane impiegata contabile, non fa rientro a casa dal turno di lavoro pomeridiano (l’ultimo prima delle ferie). La famiglia si preoccupa e così la sorella Paola si dirige presso gli uffici dell’Aiag dove si fa aprire l’ingresso dal portiere: la scena che si presenta davanti è raccapricciante e vede il corpo seminudo di Simonetta Cesaroni riverso per terra privo di vita.
La scena del delitto
Sul posto interviene la polizia con il vice-questore Costa. Il corpo della ventenne è disteso per terra, in posizione supina: le gambe divaricate e le braccia aperte, in posizione scomposta, la testa inclinata verso destra. Sul corpo si contano 29 coltellate! L’arma del delitto, di tipo bianca, potrebbe essere stata un tagliacarte. Ma non è mai stata ritrovata.
Le indagini
Simonetta Cesaroni era sola in ufficio al momento dell’uccisione, dato che era chiuso al pubblico. Non ci sono segni di colluttazione e, pertanto, la vittima poteva conoscere l’aggressore. Per quanto riguarda il movente, in un primo tempo si è ipotizzato il tentativo di violenza finito male. Viene fermato Pietro Vanacore, portiere dello stabile. Successive prove del dna lo scagioneranno. Nel 2010 si suiciderà. Nel frattempo, l’indagine punta a Raniero Busco, fidanzato di Simonetta Cesaroni nel 1990. Nel 2011 l’uomo viene condannato a 24 anni di reclusione per omicidio ma poi in Appello arriva l’assoluzione: le tracce di dna vengono ritenute circostanziali e l’alibi dell’imputato è confermato. Il delitto di via Poma rimane così senza soluzione.