Strage bus Erasmus: è morto l’unico imputato

Strage bus Erasmus: è morto l’unico imputato

A seguito della morte dell’autista Santiago Rodriguez Jimenez, si chiude di fatto il processo sulla strage delle ragazze in Erasmus.

Le famiglie delle vittime annunciano la notizia della morte di Santiago Rodriguez Jimenez, l’unico imputato per la strage che il 20 marzo 2016 vide la morte di 13 studentesse che si trovavano in Spagna in Erasmus.

A seguito della morte dell’autista che guidava il bus, adesso il caso può dirsi chiuso.

viaggio in pulmann, bus

La morte dell’autista

Quel tragico giorno il bus dove viaggiavano in Erasmus le 13 studentesse, di cui 7 italiane, finì fuori strada a Freginals provocando una strage senza precedenti. Alla guida del mezzo c’era Santiago Rodriguez Jimenez, sempre stato l’unico imputato del caso, che lo scorso autunno avrebbe ottenuto uno sconto di pena in cambio dell’ammissione della propria responsabilità.

L’uomo era in attesa di giudizio ma, prima che il giudice avesse potuto ratificare, Rodriguez Jimenez è morto a seguito di un infarto che lo ha colpito. A dare notizia della sua morte sono state le famiglie delle studentesse morte in quell’incidente, che hanno deciso di scrivere una lettera a riguardo.

La lettera delle famiglie

Dopo sette anni dalla strage in Spagna, “ci ha raggiunto la notizia della morte di Santiago Rodriguez Jimenez, l’autista. Stroncato da un infarto”, introducono i familiari nella lettera. “Finisce quindi la nostra storia giudiziaria. Non sarà emesso nessun verdetto perché la responsabilità penale è personale. Nell’autunno del 2022 avevamo preso tutti insieme una decisione sofferta e difficile, acconsentendo a un patteggiamento con l’emissione di una sentenza di condanna dell’autista; il quale, in cambio di uno sconto di pena, avrebbe ammesso finalmente la sua responsabilità. Un lungo lavoro di contatti e mediazione svolto di nostri legali in Spagna, che aveva portato all’adesione di tutte le parti civili e dello stesso imputato”.

Uno sciopero di due mesi dei segretari giudiziari aveva impedito la fissazione dell’udienza di patteggiamento, ma la data “era vicina ed il Pm aveva già depositato la relazione per il Tribunale con i termini dell’accordo di patteggiamento. Non era stato facile per noi decidere: qualcuno esitava, qualcuno era contrario. Ma dal 20 marzo 2016 siamo diventati un po’ come una grande famiglia e alla fine la scelta è stata presa e comunicata in Spagna. Questa vicenda ci ha portato via troppo, ma la dignità ci è rimasta: ci siamo rifiutati di subire per anni un processo che non ne voleva sapere di partire”.

Continua la lettera con parole di sconforto nei confronti di “un paese dove l’esercizio della giustizia dipende dalla capienza e dal numero delle aule o dalle rivendicazioni sindacali pur legittime di un segretario. Uno stato in cui il risarcimento delle vittime di sinistri stradali vale meno di quello di altri sinistri, per non pesare sulle compagnie assicurative. Quindi, meglio uscirne prima possibile, per non subire più. Nemmeno questo è stato possibile. Ci resta solo la notizia che l’autista avrebbe patteggiato: è la nostra unica non sentenza”.

Ricordano il loro continuo sostegno, perché tanto “i veri colpevoli non sarebbero stati comunque in quella aula che non c’era. Nessun segretario in sciopero gli avrebbe notificato un mandato di comparizione. La società di trasporti che aveva consentito ad una persona non più giovane e con problemi di salute di fare un viaggio troppo lungo senza un sostituto; l’associazione studentesca (ospitata e sponsorizzata da un ateneo che poi si è dissociato) rea di aver organizzato una gita nella quale degli autisti dovevano viaggiare e stare svegli per più di 24 ore consecutive; il rappresentante dell’associazione stessa che la mattina aveva ripreso l’autista vedendolo incline a colpi di sonno, ma che dopo la mezzanotte aveva fatto salire su quel pullman 50 persone, senza chiedere una sostituzione alla guida”.

Poi concludono: “Le autostrade spagnole, i cui guard rail erano e sono tanto tanto vecchi. Fossero stati anche tutti puniti, le nostre figlie non ci sarebbero comunque più. Il nostro appello è rivolto a coloro che hanno responsabilità e che possono fare in modo di cambiare le cose, esercitando maggiori controlli su chi spende il loro nome; disciplinando una volta per tutte il trasporto di persone senza avere paura di toccare interessi economici; stabilendo regole uniformi di risarcimento del danno che valorizzino la vita e inducano a condotte prudenti. Solo così l’Europa di cui le nostre figlie si sentivano cittadine, potrà essere un posto sicuro e giusto. Per parlare di questo e costruire, ci saremo sempre. Per rivangare e rivendicare no. La corsa è finita. Questo lo dobbiamo a Elena, Elisa ed Elisa, Francesca, Lucrezia, Serena e Valentina”.

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