La riduzione dell’Iva alleggerirebbe il carrello della spesa delle famiglie. Ma quanto costerebbe e chi ci guadagnerebbe?
L’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari provoca la crescita sempre più in aumento del carrello della spesa. Le imprese, in vista di rincari sempre maggiori sulle bollette, si vedono costrette ad aumentare i prezzi dei propri prodotti arrivando fino ad un 11,5%. L’ulteriore opzione, quella di anticipare l’orario di chiusura dei propri negozi. In questo scenario l’unica soluzione possibile sembra essere quella del taglio dell’Iva.
Aumenti energia e gas
Più di un’azienda su tre è costretta ad aumentare i prezzi dei propri prodotti per riuscire a sostenere i rincari di energia e gas. I dati Istat registrano una nuova accelerazione a settembre dei prezzi del cibo, con un aumento del 11,5% rispetto all’anno precedente. Inoltre, il 26% delle aziende pensa di limitare gli orari di lavoro e di apertura per consumare meno energia.
In un contesto del genere, il taglio dell’Iva “rappresenta una misura indispensabile per abbattere i listini al dettaglio e alleggerire la spesa delle famiglie” secondo Consumerismo No Profit. Lo stato dovrebbe rinunciare a riscuotere l’imposta sul consumo dai beni interessati, ma cosa potrebbe succedere davvero?
Il taglio dell’Iva
Il taglio dell’Iva sugli alimentari è una misura che il governo può adottare velocemente. Il presidente Luigi Gabriele spiega che “la riduzione dell’Iva su cibi e bevande avrebbe effetti positivi diretti non solo sulla spesa quotidiana delle famiglie, ma anche su quella di bar, ristoranti, hotel, strutture ricettive e attività varie”. Nello stesso momento però è necessario controllare quella pratica sempre più diffusa di ridurre le quantità di prodotto presenti nelle confezioni senza diminuire i prezzi al pubblico. Quest’azione tende quindi a svuotare i carrelli degli italiani producendo una inflazione occulta.
Dopo che anche i rincari del gas saranno resi noti a novembre, sarà inevitabile il susseguirsi di ulteriori aumenti. Questi si troveranno in concomitanza con il periodo in cui le famiglie consumano una quantità maggiore di gas. Gli interventi a sostegno di famiglie, imprese e sistema economico, sembrano avere una grande urgenza in questo contesto critico.
Quello sul taglio dell’Iva sui prodotti alimentari è un “piano concreto e eventualmente alternativo o aggiuntivo ai 200 euro”, diceva a luglio la vice ministra dell’economia, Laura Castelli. In seguito però si scelse la via del bonus, ma oggi le cose potrebbero cambiare con un provvedimento che agisca sui beni di prima necessità e a maggior consumo.
Pro e contro
Sta di fatto che, comunque, il bonus può essere destinato alle famiglie con un reddito annuo inferiore ai 35 mila euro lordi, mentre il taglio dell’Iva riguarderebbe tutti indistintamente disperdendo così risorse preziose e scarse.
Sarà il nuovo Governo a ufficializzare o meno la decisione entro qualche settimana. Secondo alcune stime però costerebbe quasi 4 miliardi, l’azzeramento dell’imposta sul valore aggiunto su prodotti di largo consumo. Cancellare per un anno l’IVA sul pane fresco, oggi al 4%, costerebbe 253 milioni, sul latte 150 milioni, mentre per la pasta e l’olio di oliva ci sarebbe bisogno di 76 e 141 milioni.
In secondo luogo Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori, ha fatto luce su un altro tema: “Un taglio limitato ai beni necessari con Iva al 4% rischia di produrre un effetto nullo sulle tasche dei consumatori. È molto probabile che i commercianti, anche loro in grande difficoltà per via degli aumenti dei costi di esercizio e del caro bollette, non ritocchino in basso i loro listini a fronte di una riduzione dell’Iva così bassa e di prezzi che stanno invece esplodendo, non traslando sui loro clienti i possibili benefici del provvedimento del Governo”. Il taglio dell’Iva potrebbe quindi essere solo un vantaggio per i commercianti.