Tra PNRR e appalti, l’Italia marcia verso la recessione

Tra PNRR e appalti, l’Italia marcia verso la recessione

Non sfruttare fino in fondo i fondi europei sarebbe un vero e proprio disastro

Questa volta il solito scaricabarile all’italiana non si può accettare. Il palleggiamento di responsabilità tra il governo attuale e quello precedente – condito dalle telefonate di chiarimento tra Meloni e Draghi – è di una gravità fuori misura anche per un Paese abituato a tutto come il nostro. Diciamolo chiaramente: non riuscire a usare tutta la montagna di soldi arrivata grazie al PNRR (eventualità che il ministro Fitto definisce “matematica”) sarebbe una vera e propria vergogna nazionale.

Forse vale la pena di ricordare che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è la declinazione italiana del Next Generation EU, il massiccio piano di investimenti deciso dall’Europa durante il dramma del Covid, per sostenere gli Stati membri più danneggiati. Tra questi c’è senza dubbio l’Italia, alla quale infatti è stata giustamente assegnata la fetta più grossa della torta: 191,5 miliardi di euro (in parte in prestito e in parte a fondo perduto) su un totale di 750. Gettare al vento questa opportunità sarebbe quindi un affronto nei confronti di tutti coloro che sono stati colpiti dalla pandemia, che ha fatto strage dei nostri connazionali, ma anche della nostra economia. Mancare l’appuntamento con la storia avrà conseguenze pesantissime, come spiega EY: solo con la piena realizzazione del PNRR si eviterà la recessione.

Raffaele Fitto

Il caso-PNRR, tra economia e politica

Il fatto che Fitto abbia già “alzato bandiera bianca”, come ha polemicamente commentato da Milano il sindaco Sala, ha una chiara spiegazione politica: per il centrodestra è meglio mettere le mani avanti ora che veder scoppiare la bomba alla scadenza naturale del 2026, con le elezioni politiche ormai alle porte. Ma la gravità di questo passaggio è tale da rimettere in discussione le previsioni dei tanti che vedono l’attuale maggioranza destinata a rimanere tale per tutto il mandato. Il precipitare della crisi economica può offuscare la stella di Giorgia Meloni, che infatti ha messo nel mirino sia Fitto che Pichetto Fratin, i quali potrebbero perdere la poltrona nel rimpasto del quale si vocifera.

Giorgia Meloni

Per quanto il governo rischi l’osso del collo su questa vicenda, è giusto dire che non tutte le colpe sono sue. Il problema non nasce oggi, giacché da tempo l’Italia fallisce nel compito di spendere interamente i fondi europei che le vengono assegnati a vario titolo. Questo nuovo fallimento sarebbe esiziale, per le ragioni già spiegate, ma non inatteso. La causa del problema si perde nei meandri di uno Stato eccessivamente burocratico, sommerso da una pletora di leggi e fonti normative spesso in contrasto tra loro e spezzettato in un decentramento amministrativo che genera confusione, offrendo ghiotte occasioni agli immancabili furbetti e, al contrario, demotivando gli amministratori onesti.

Per risolvere l’annoso problema della “paura della firma”, Salvini ha varato il nuovo Codice degli Appalti che, spiega il ministro, si fonda sulla fiducia nei confronti dell’operato di sindaci e aziende. Le perplessità sono tante, a partire dal fatto che la quasi totalità delle opere pubbliche verrà assegnata senza gara. Solo il tempo dirà se dovremo ringraziarlo per aver presentato la riforma entro la scadenza prevista proprio per avere i fondi del PNRR (31 marzo) o se invece la toppa risulterà peggio del buco. Non solo le opposizioni, ma anche sindacati e Anac sono già convinte che finirà male e infatti scendono in piazza contro il “Codice Salvini”. Tuttavia, se qualcuno pensa di avere qualcosa da guadagnare da questo caos si sbaglia di grosso: il rischio è che a perdere sia tutto il Paese.