Tragedia di Ravenna, cosa emerge dalla perizia psichiatrica di Giulia Lavatura

Tragedia di Ravenna, cosa emerge dalla perizia psichiatrica di Giulia Lavatura

La psichiatra spiega cosa ha portato Giulia Lavatura a lanciarsi dal nono piano con la figlia di 6 anni e il loro cane.

Una tragedia da cui non è semplice riprendersi, e che ogni giorno trova nuovi tristi dettagli che ne spieghino le motivazioni. Lunedì mattina, Giulia Lavatura si lanciava dal balcone del palazzo in cui viveva, insieme alla figlia Wendi di 6 anni e alla loro cagnolina. La donna è l’unica sopravvissuta, e sono proprio le sue parole a chiarire molti aspetti di quanto accaduto.

Il caso di Giulia Lavatura: un mese senza farmaci

Giulia Lavatura, madre di 41 anni, era in cura per problemi di salute mentale. Tuttavia, un mese prima del tragico evento, aveva smesso di prendere i farmaci che le erano stati prescritti. Questa interruzione delle cure, da lei stessa confermata, potrebbe aver avuto un peso nell’intento di farla finita.

Durante l’interrogatorio all’ospedale Bufalini di Cesena, dove si trova ricoverata e in stato d’arresto, Giulia ha rivelato che l’idea di interrompere le cure sarebbe arrivata da uno psichiatra che l’aveva in cura, che le avrebbe consigliato di smettere di prendere i farmaci.

A peggiorare la sua situazione, è stata soprattutto la confessione che ha fatto agli inquirenti per quanto riguarda il folle gesto che ha portato alla morte della figlioletta e del loro cane. “L’unica esitazione l’ho avuta quando mia figlia ha cercato di fermarmi. L’avevo presa in braccio che ancora dormiva e poi si è svegliata. Volevo suicidarmi e volevo che lei non rimanesse senza di me. Avevo premeditato tutto giorni prima”, ha ammesso Giulia Lavatura.

La psichiatra: “Affetta da delirio di indegnità”

Adelia Lucattini, psichiatra e psicoanalista, spiega all’agenzia di stampa Dire come aiutare familiari e congiunti a leggere i segnali di chi soffre di problemi di salute mentale, commentando e spiegando il tentato suicidio di Giulia Lavatura.

L’esperta ha esortato a prendere sul serio frasi dette in momenti critici, come “vi odio” o “non ce la faccio più”, che possono essere indizi di un disagio profondo. Nei casi come quello avvenuto a Ravenna, si tratta di delirio di indegnità: una forma rara ma pericolosa di malattia mentale. Chi ne soffre è convinto di essere un peso per gli altri e, nel tentativo di liberarli da questo peso, può arrivare a compiere gesti estremi, come l’omicidio o il suicidio.

“Non c’è intenzione di fare del male a quelle persone, ma di salvarle da un male peggiore. E lanciarsi nel vuoto, può essere il gesto estremo di chi si butta per tentare di salvarsi”, spiega Lucattini.