Dopo anni dall’omicidio, l’assassino della giovanissima Simonetta Cesaroni è ancora a piede libero e la verità ancora nascosta.
Sono passati ormai molti anni dalla morte della giovanissima Simonetta Cesaroni che il 7 agosto 1990 veniva assassinata con 29 colpi di tagliacarte nello studio romano in cui lavorava per una sostituzione estiva. Le indagini si sono protratte per oltre vent’anni senza mai arrivare alla verità e lasciando l’assassino della ragazza in libertà.
Numerosi furono i sospettati: Pietrino Vanancore, portiere del palazzo; Salvatore Volponi, il datore di lavoro; Federico Valle, il cui padre aveva un locale nel palazzo; infine Raniero Busco, il fidanzato della vittima e il principale sospettato.
Il delitto e la scoperta del cadavere
Simonetta Cesaroni era una ragazza tranquilla e riservata e all’epoca del delitto aveva appena 19 anni. Viveva a Roma nel quartiere Don Bosco e da gennaio 1990 aveva iniziato a lavorare come segretaria presso la Reli Sas che decise di assegnare alla ragazza il compito di seguire la A.I.A.G. (Associazione Italiana Alberghi della Gioventù) prestando saltuariamente lavoro contabile.
È proprio presso la sede dell’A.I.A.G. che il pomeriggio del 7 agosto 1990 la sorella, Paola, accompagnata dal datore di lavoro di Simonetta, Salvatore Volponi, trova il corpo della ragazza senza vita e martoriato da 29 colpi di tagliacarte. Senza vestiti e con addosso soltanto il reggiseno e i calzini, le ferite sono su tutto il corpo e la scena del delitto è stata quasi del tutto ripulita.
Secondo le ricostruzioni un uomo non identificato sarebbe stata l’ultima persona a vedere Simonetta viva. Un uomo di cui Simonetta aveva timore e da cui ha tentato la fuga cercando di rifugiarsi nella stanza accanto all’ufficio dove lavorava. Le uniche tracce di sangue rimaste sono quelle presenti sulla maniglia della porta e sul telefono e dalle analisi nasce l’ipotesi di due colpevoli, l’assassino e un aiutante che ha pulito la scena del crimine.
Le indagini e i sospettati
Subito dopo la scoperta del delitto iniziano le indagini e la polizia identifica come primo sospettato Pietrino Vanancore il portiere del palazzo. Venne identificato come ipotetico colpevole perchè tra le 17:30 e le 18:30 non era assieme agli altri portieri del palazzo, e quella finestra temporale corrisponde al momento dell’uccisione della ragazza. Altri dettagli a sfavore del portiere, furono uno scontrino delle 17:25 che attestava l’acquisto di una smerigliatrice angolare che venne poi sequestrata e delle macchie di sangue sui pantaloni.
Inoltre nell’arco di tempo in cui venne uccisa Simonetta all’interno del palazzo non furono registrate entrare e questo, insieme agli altri dettagli porta gli inquirenti a identificarlo come colpevole.
Vanancore passa 26 giorni in carcere ma viene liberato per mancanza di prove. Il sangue sui pantaloni è infatti il suo, che soffre di emorroidi, e dopo gli esami del DNA sul sangue trovato sulla porta le accuse vengono ritirate.
Il suo nome tornerà tra i sospetti durante le indagini sul fidanzato Raniero Busco, ma pochi giorni prima di presentarsi in tribunale per testimoniare, si suicida lasciando un biglietto con scritto “Vent’anni di sofferenze e di sospetti ti portano al suicidio”.
Raniero Busco il principale sospettato
Raniero Busco all’epoca era il fidanzato di Simonetta e venne individuato come uno dei principali sospettati dell’omicidio.
Il suo nome diventa il primo della lista nel gennaio del 2007 quando, dopo le analisi del DNA effettuate dai RIS di Parma, vengono ritrovate tracce di liquido biologico (non è stato possibile riconoscere se si trattasse di saliva o di altro) sul corpetto e sul reggiseno indossati da Simonetta quel giorno. I controlli effettuati due volte hanno identificato con assoluta certezza il DNA di Busco che quindi venne ufficialmente indiziato per l’omicidio della fidanzata.
Sono delle prove che però non risultano sufficienti per trattenere Busco. Il processo d’appello infatti declassa la prova perchè considerata circostanziale, infatti a seguito di diverse analisi sul lavaggio dei vestiti di Simonetta, i giudici ritengono che lil liquido biologico ritrovato potrebbe essere presente sugli indumenti da prima del delitto.
I dubbi sul colpevolezza di Raniero Busco sono molti, tra questi anche l’enigma della lesione sul capezzolo della ragazza. Inizialmente infatti tramite una serie di analisi e perizie di un team apposta, la lesione viene identificata come un morso umano e i segni dei denti sarebbero corrispondenti a quelli dell’arcata dentale di Busco. Queste prove vengono scartate in quanto la Corte alla fine stabilisce che i segni non corrispondono a quelli di un morso.
Nel processo di appello concluso nel 2012 Busco viene quindi assolto. L’assoluzione viene confermata dalla Cassazione nel 2014 chiudendo, senza una soluzione, il caso.
Nel 2022 sono state riaperte le indagini sull’omicidio e sono emerse nuove ipotesi tra cui nuovi nomi.
Raniero Busco oggi
Raniero Busco è stato ufficialmente assolto nel 2014 e dunque ritenuto non colpevole dell’omicidio della ex fidanzata Simonetta Cesaroni.
Dopo la sentenza che ha visto la sua prima assoluzione nel 2012 Busco ha raccontato la sua vita durante gli anni delle accuse descrivendola come “sospesa”. Oggi è sposato con Roberta Milletarì che è spesso intervenuta a sostegno del marito che si è sempre dichiarato totalmente innocente e ignaro dei fatti accaduti. Insieme hanno due figli Riccardo e Valerio.