Trump e le sue Bibbie prodotte in “made in China”: esplode la polemica

Trump e le sue Bibbie prodotte in “made in China”: esplode la polemica

L’ironia dietro le Bibbie di Donald Trump “made in China” utilizzate per finanziare la sua campagna elettorale: scoppia la polemica.

Nel corso della sua presidenza e successivamente, Donald Trump ha puntando il dito contro la Cina per la perdita di posti di lavoro e per gli squilibri commerciali tra i due Paesi.

Tuttavia, una recente notizia ha sollevato non poche polemiche: le Bibbie associate alla sua iniziativa “God Bless the USA” sono state stampate proprio in Cina.

Donald Trump

Le Bibbie di Donald Trump “made in China”

L’iniziativa “God Bless the USA“, come riportato da Agi, era pensata per celebrare i valori fondamentali americani, includendo nel pacchetto non solo una Bibbia.

Ma anche documenti simbolo della democrazia statunitense come la Costituzione, la Dichiarazione d’Indipendenza e il Bill of Rights.

Il progetto è stato lanciato in collaborazione con il cantante country Lee Greenwood, noto per una sua canzone patriottica e con l’obiettivo dichiarato di “riprenderci e riportare in America è la nostra religione“.

Ma la vera sorpresa non è stato bensì il luogo di produzione delle Bibbie. A dispetto della retorica anti-cinese del tycoon, le copie sono state prodotte a Hangzhou, in Cina.

Si tratta di una compagnia che ha spedito oltre 120.000 copie tra febbraio e marzo 2024. Il valore della spedizione è stato stimato in circa 342.000 dollari.

Un costo di produzione per volume di circa tre dollari. Tuttavia, una volta arrivate negli Stati Uniti, queste Bibbie sono state vendute a un prezzo di 59,99 dollari, generando notevoli profitti per finanziare la campagna elettorale di Trump.

La polemica contro il Tycoon

Questa notizia ha suscitato una forte reazione tra i critici dell’ex presidente. Infatti hanno evidenziato l’ironia di affidarsi a un Paese che Trump ha ripetutamente accusato di “rubare” posti di lavoro.

Negli anni della sua presidenza, il Tycoon ha spinto per una produzione più “made in USA“, minacciando di introdurre tariffe doganali elevate sui prodotti cinesi. Nonché invitando le aziende americane a riportare le proprie fabbriche sul suolo nazionale.