Variante Omicron, cambiano i tempi di incubazione del Covid 

Variante Omicron, cambiano i tempi di incubazione del Covid 

Uno studio ha messo in evidenza come siano cambiati i tempi di incubazione del Covid con il diffondersi delle varianti: è il caso di Omicron.

Omicron 5 è la variante del virus SarsCoV2 identificata in Sudafrica. Attualmente, la mutazione si sta diffondendo anche in Europa. Secondo gli esperti, il Covid è ancora un pericolo e bisogna stare allerta. A destare preoccupazione è la nuova variante BA.5, chiamata anche Omicron 5. 

I tempi di incubazione

Con il diffondersi della variante Omicron sono cambiati – oltre ai sintomi ed al livello di contagiosità – anche i tempi di incubazione del Covid-19. A parlare della questione uno studio pubblicato su ‘Jama Network Open’. Secondo quanto riferito dalla ricerca, il periodo di incubazione nella variante Omicron si è ridotto considerevolmente. Se per la variante Alfa si parlava di 5 giorni, adesso con la nuova variante siamo passati 3,42. 

Ciò significa che con il propagarsi di Omicron il tempo di incubazione del Covid-19 è diventato considerevolmente più breve. A condurre lo studio diversi ricercatori di Pechino. La ricerca è stata condotta esaminando i dati di 142 studi, con 8.112 pazienti coinvolti. All’interno delle varie cartelle viene riportato anche il tempo necessario per sviluppare la malattia.  

Aumenta il livello di contagiosità di Omicron

Il focolaio delle sotto-varianti BA.4 e BA.5 ha preso piede inizialmente in Sudafrica, nel periodo compreso tra la metà dicembre ed i primi di gennaio. Come ben sappiamo, l’infezione da Covid-19 ha un’alta trasmissibilità. Difatti la pericolosità del virus non consiste nella sua sintomatologia, ma nella velocità di trasmissione in grado di colpire vaste aree istantaneamente. Ad oggi, in seguito alle mutazioni del virus, abbiamo riscontrato una trasmissibilità ancora più alta nelle varianti Omicron. 

È stato osservato un elevato numero di reinfezioni successivamente all’aumento delle sotto varianti di Omicron BA.1 e BA.2. In seguito a questo fenomeno, gli studiosi si sono chiesti se nello specifico, BA.2 possa sfuggire all’immunità naturale acquisita poco dopo un’infezione da BA.1. 

Nello studio condotto dai sudafricani lo scopo era quello di verificare la capacità di neutralizzare entrambe le varianti in circolazione. Per fare ciò dovevano utilizzare il siero di 39 persone che avevano contratto Omicron BA.1. Di queste persone, 24 non avevano ricevuto alcuna somministrazione del vaccino. Le altre 15 si erano ammalate, anche avendo ricevuto il vaccino. Nello specifico Pfizer-BioNTech o Johnson & Johnson.

Il siero utilizzato per lo svolgimento dello studio era stato prelevato 23 giorni dopo il manifestarsi dei sintomi. Il 23esimo giorno risulta quello “corrispondente al momento in cui l’immunità neutralizzante contro Omicron BA.1 si sviluppa e raggiunge il massimo”.

L’analisi dei dati

L’esito dello studio ha dimostrato come nei non vaccinati vi sia un calo della capacità di immunizzazione abbassate di 36 volte contro BA.4 e 37 contro BA.5 rispetto alla sotto-variante BA.1.