Il direttore di Libero Vittorio Feltri pubblica sul suo quotidiano il suo pensiero relativo alla polemica di La Russia e via Rasella.
Nei giorni scorsi è infiammata la polemica che ha visto coinvolto il presidente del Senato Ignazio La Russa sulla strage in via Rasella. Il direttore di Libero, Vittorio Feltri, interviene in difesa della seconda carica dello Stato ripercorrendo quanto accaduto nei giorni scorsi tra le parole di La Russa e la reazione delle opposizioni.
L’esponente di FdI era intervenuto per appianare un’altra polemica nata dal discorso della premier Meloni sull’eccidio delle Fosse Ardeatine. Il risultato è stato opposto scatenando l‘ira delle opposizioni che hanno chiesto le sue dimissioni. Una bufera che ha costretto La Russa a chiedere scusa e precisare cosa intendesse.
L’intervento del direttore di Libero
Le parole di La Russa, dette proprio al podcast di Libero, erano sembrate alle opposizioni sminuire i tedeschi uccisi dai partigiani e colpevolizzare delle Fosse Ardeatine proprio gli antifascisti. Sulla questione ritorna, “adesso che le acque si sono calmate” il direttore di Libero sul suo quotidiano. Vittorio Feltri riparte proprio dalle dichiarazioni della seconda carica dello Stato: “ha detto che le vittime dell’eccidio costituivano una banda non di feroci nazisti assetati di sangue, ma un gruppo di anzianotti per giunta disarmati” semplifica il giornalista.
“Questi termini hanno fatto scandalo e provocato una reazione smodata nel solito giro di esaltati antifascisti immaginari. Secondo i quali il massacro fu il risultato di una nobile azione di guerra anche se la ritorsione degli hitleriani fu feroce: infatti i tedeschi fucilarono un numero notevole di italiani innocenti. Un obbrobrio senza precedenti” ripercorre Feltri.
Per Feltri, La Russa avrebbe commesso un errore a non divulgare la “sua opinione contraria a quella dei conformisti di sinistra, bensì a chiedere scusa per aver ecceduto nel suo commento” ha scritto il direttore precisando che il presidente del Senato “Non ha nulla da farsi perdonare, visto che in democrazia qualsiasi opinione, pur discutibile, è lecita. Almeno su questo punto persino i progressisti nemici dei fascisti, morti tutti, dovrebbero essere d’accordo.”
Il busto del duce e il Baffone di Indro Montanelli
Inoltre, “i giudizi sulle vicende del passato remoto spettano agli storici, non a quattro sfigati nostalgici del comunismo che, quanto allo sterminio di cristiani detengono il primato mondiale” ha aggiunto Vittorio Feltri. L’intervento del direttore del quotidiano conclude ricordando che La Russa è “perseguitato dal Pd e gruppi affini perché ha detto pubblicamente di possedere il busto di Benito Mussolini, quasi che conservare un cimelio fosse un reato” osserva il direttore del quotidiano.
A discolpa del presidente del Senato, Feltri ricorda ai lettori che “anche Indro Montanelli aveva sulla propria scrivania una statuetta raffigurante Stalin, che non era certo un mite democristiano“. Feltri ricorda di avere chiesto al giornalista perché possedeva quel cimelio e che gli rispose: “Baffone è l’uomo che ha fatto secca una quantità ineguagliabile di comunisti. Una verità che nessuno mai ha osato contestargli.”
Come chiosa, Feltri aggiunge di possedere un “testone del duce” regalato da un oste e di esporlo nel suo ufficio di Libero, “Non mi è nemmeno passata per la mente l’idea di alienarlo” scrive “Dovrei gettarlo nella spazzatura per compiacere quelli dell’Anpi e magari financo Elly Schlein? Non ci penso nemmeno ovvero me ne frego fascisticamente delle critiche dei cretini.”