L’analisi di Vittorio Sgarbi sull’assassinio di Alexei Navalny: un confronto tra la morte dell’oppositore russo e l’omicidio di Matteotti.
L’italia e il mondo assistono a un nuovo capitolo di tensioni politiche, stavolta incentrato sulla tragica scomparsa di Alexei Navalny. Vittorio Sgarbi, figura nota nel panorama culturale italiano e ex sottosegretario alla Cultura, punta il dito senza esitazioni: per lui, non vi è alcun dubbio che la morte di Navalny sia un assassinio politico, un atto che riecheggia sinistramente l’omicidio di Giacomo Matteotti, perpetrato nel 1924.
Una dichiarazione senza appelli
Sgarbi respinge con forza ogni teoria complottistica o tentativo di delegittimazione dell’accaduto, sottolineando l’inutilità di attendere le conclusioni di indagini la cui imparzialità è messa in discussione. La sua posizione emerge netta contro le prudenze invocate da figure politiche come Andrea Crippa, vicesegretario della Lega, dimostrando un chiaro scetticismo sulla possibilità di ottenere verità attraverso canali ufficiali.
Alexei Navalny, morto in circostanze misteriose il 16 febbraio, non è solo l’oppositore più eclatante di Vladimir Putin, ma rappresenta l’emblema di una resistenza pacifica contro la dittatura e le politiche belliciste russe. La sua carriera politica, sebbene non abbia mai culminato in una vittoria elettorale, ha segnato gli ultimi quindici anni di storia russa con un’impronta di coraggio e determinazione.
Un assassinio che pone interrogativi
L’accusa di Sgarbi non lascia spazio a interpretazioni ambigue: Navalny è stato eliminato per le sue idee e per il suo impegno nella costruzione di un’alternativa politica in Russia. Questo gesto crudele non solo svela la fragilità del dissenso in regimi autoritari, ma pone anche l’accento sulla responsabilità diretta e indiretta dei vertici politici, analogamente a quanto accaduto quasi un secolo fa con l’assassinio di Matteotti.
L’intervento di Sgarbi ci ricorda dolorosamente come la storia tenda a ripetersi, specialmente quando il potere politico decide di soffocare le voci dell’opposizione attraverso metodi definitivi. La morte di Navalny non è solo una tragedia personale o nazionale, ma un campanello d’allarme per la comunità internazionale, un richiamo alla vigilanza e alla difesa dei diritti umani e della libertà di espressione.