Sibilla Barbieri, l’attrice malata terminale morta in Svizzera tramite suicidio assistito.
Il caso di Sibilla Barbieri, attrice e regista Roman di 58 anni, che ha scelto il suicidio assistito in Svizzera, riporta in primo piano il grande tema dell’eutanasia il vuoto normativo e per certi versi culturale che c’è in Italia su un tema che ha scatenato sempre feroci contrapposizioni tra il mondo cattolico cristiano e dall’altra la componente politica laica con in primo piano i radicali.
Il tema è sempre lo stesso, è il soggetto che può decidere se vivere o morire o sono le leggi che scelgono per il soggetto senza interpellare la sua volontà. È chiaro che la questione ha anche una complessa lettura esistenziale, spirituale, filosofica. Certo è che quello di cui parliamo oggi è forse il tema più delicato di tutti, perché ripropone il più grande mistero della nostra esistenza, ovvero il trapasso dalla vita alla morte, con le nostre credenze individuali, le nostre paure, l’atteggiamento antropologico culturale di un’intera società che si rispecchia anche nel potere politico.
Sibilla Barbieri aveva ricevuto un rifiuto da parte della sua Asl di Roma sul suicidio assistito e per questo è andata in Svizzera e ha lasciato un messaggio molto toccante che inizia così: quando voi vedrete questo messaggio io sarò già morta. È un video rivolto alle nostre principali autorità, ma rivolto soprattutto a tutte le nostre coscienze, è una donna gravemente malata, ma che parla con dignità e con lucidità dello stadio terminale di un tumore che ormai è in metastasi ovunque nel suo corpo, al punto tale da rendere invivibile la sua stessa vita.
È una donna che dice chiaramente e serenamente di aver scelto di morire. Rispetto a molti paesi, l’eutanasia in Italia non è di fatto ancora possibile e il dibattito pubblico ancora una volta si arrovella sul tema sopra accennato. Chi può e deve decidere sulla vita e la morte, il soggetto medesimo, la magistratura, la politica, le visioni religiose? C’è un momento in cui il soggetto può decidere che la vita non vale più la pena di essere vissuta e le norme intorno glielo possono permettere senza andare a colpi di sentenze di magistrati o di conflitti politici?
La cronaca in questi giorni ci pone un’altra storia che se volete ha una sorta di andamento contrario, quella della vita che deve essere difesa comunque a ogni costo. È la storia della piccola Indi, la bambina inglese di otto mesi afflitta da una malattia incurabile, i genitori avrebbero voluto continuare la battaglia e sperando magari che la scienza in futuro potesse trovare delle soluzioni, ma un magistrato inglese ha deciso perentoriamente che la spina venisse staccata. In entrambi i casi ci troviamo di fronte appunto allo stesso mistero: vivere e morire, chi deve decidere?