Bienvenido, Retegui! Ma quella legge fa ridere…

Bienvenido, Retegui! Ma quella legge fa ridere…

L’ennesimo “oriundo” del calcio italiano riporta di attualità il tema della cittadinanza, che viene concessa con modalità davvero molto discutibili

Bienvenido, Retegui! La nazionale di calcio aveva proprio bisogno di qualcuno che sapesse fare gol, vista la penuria di attaccanti in circolazione. E pazienza se per colmare la lacuna siamo dovuti andare a scovare un carneade che non parla nemmeno l’italiano e che ha potuto vestire l’azzurro solo in virtù di un nonno di Canicattì.

La storia degli “oriundi” in azzurro è iniziata molto prima che il calcio diventasse un business. E’ significativo ricordare come in occasione del trionfo al mondiale 2006 in Germania l’italo-argentino Camoranesi rispose così a chi lo criticava perché non cantava l’Inno di Mameli: “Figuratevi che non so nemmeno il mio, quello argentino!”. Certo, per rappresentare l’Italia bisognerebbe sentirsi almeno un po’ italiani, ma il mondo sta cambiando e certamente noi tifosi ragioniamo in modo diverso rispetto ai calciatori professionisti, che comprensibilmente cercano ogni opportunità di emergere.

Roberto Mancini

Semmai, ci sono altre riflessioni da fare. Così come Camoranesi e Retegui, tra Argentina e Brasile ci sono oltre 55 milioni di cittadini con ascendenze italiane e infatti le richieste di cittadinanza richiedono un iter che dura mesi, perché i consolati sono al collasso. In teoria, la popolazione italiana potrebbe raddoppiare solo con gli “oriundi” di questi due Paesi, per tacere dei milioni di altri discendenti di immigrati che vivono negli altri paesi sudamericani, nel Nord America e in Australia. Fortunatamente, la maggior parte di loro fa volentieri a meno del doppio passaporto. In ogni caso, perché naturalizzare un Retegui e non un comune mortale senza talento calcistico? Siamo a un passo dal rendere reale la famosa gag di Checco Zalone che in “Quo Vado?” veniva impiegato come guardia a Lampedusa e permetteva l’ingresso dei migranti solo dopo il superamento di un test di abilità calcistica. “D’altronde si gioca in 11, non possono entrare tutti”.

Checco Zalone

A proposito di migranti, la seconda e più significativa riflessione riguarda l’arretratezza delle norme sulla cittadinanza. Mentre può diventare italiano il pronipote di un nostro concittadino, anche se è nato oltre oceano, non parla una parola della nostra lingua e conosce pochissimo della nostra cultura, la stessa cosa è negata a chi, figlio di immigrati, nasce in Italia, parla l’italiano perfettamente, frequenta la scuola nel nostro Paese e si sente parte integrante dell’unica cultura che abbia mai conosciuto direttamente. Essendosi impantanato prima lo Ius Soli e poi persino il più morbido Ius Culturae, oggi viviamo in questo paradosso: è italiano Retegui, nato a San Fernando, provincia di Buenos Aires, ma non lo sono i tantissimi bambini nati a Milano, Torino, Roma, Genova e Firenze, solo perché figli di immigrati. Se fosse un film di Checco Zalone, farebbe ridere. Essendo la realtà, mette un po’ di tristezza.