Chi era Bruno Caccia, il procuratore ucciso dalla ‘ndrangheta nel 1983

Chi era Bruno Caccia, il procuratore ucciso dalla ‘ndrangheta nel 1983

Una vita dedicata alla giustizia e alla ricerca della verità: l’operato di Bruno Caccia, magistrato vittima di mafia, è ancora oggi ricordato.

Agostino Pianta, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino: sono solo alcuni dei tanti magistrati che hanno perso la vita per mano della mafia. La stessa sorte è capitata a Bruno Caccia, Procuratore del Tribunale di Torino, ucciso dalla ‘ndrangheta nel 1983. Vediamo insieme chi era.

Bruno Caccia: la biografia

Bruno Caccia è nato a Cuneo, il 16 novembre 1917: la sua era una famiglia di magistrati, operanti nella giustizia da più di un secolo.

E’ cresciuto nel comune piemontese, salvo poi seguire il padre, magistrato, che per lavoro era stato trasferito a La Spezia. Ha ottenuto il diploma di liceo classico ad Asti e si è poi laureato con il massimo dei voti in Giurisprudenza all’Università di Torino, nel 1939, conseguendo l’anno successivo anche una laurea in Scienze Politiche.

Bruno Caccia: la carriera

Superato il concorso per entrare in magistratura nel 1941, Caccia ha avviato la sua carriera come uditore al tribunale di Torino, per diventare poi ben presto sostituto procuratore.

Nel 1964, ha raggiunto la carica di Procuratore della Repubblica, venendo trasferito ad Aosta, ma poi ha fatto ritorno a Torino, dove ha assunto prima il ruolo di Sostituto alla Procura Generale ed infine quello di Procuratore Capo nel 1980.

Diligente e rigoroso, Bruno Caccia è ricordato per le sue indagini rivolte ai gruppi terroristici, già dagli “anni di piombo”, culminate nello storico processo del 1976, contro i capi delle Brigate Rosse: fu lui infatti a portare all’arresto dei terroristi Renato Curcio e Alberto Franceschini, operanti proprio nelle BR, e all’incarcerazione di Roberto Sandalo, presente tra le file del gruppo di estrema sinistra Prima Linea.

Caccia fu però soprattutto uno tra i primi ad investigare sulle ramificazioni della mafia nel nord Italia, tema difficile da affrontare all’epoca. Si occupò infatti di scovare diverse attività illecite dell’organizzazione criminale della ‘ndrangheta, tra omicidi, traffici di stupefacenti e corruzione. Furono proprio queste indagini a portarlo alla morte.

L’omicidio di Bruno Caccia e le condanne

Il procuratore piemontese venne ucciso la sera di domenica 26 giugno 2023, mentre portava a spasso il cane nella via dove abitava, via Sommacampagna, nei pressi della Gran Madre. Si trovava infatti da solo, senza scorta, e così i suoi assassini riuscirono ad avvicinarsi a bordo di una Fiat 128 e a sparargli 17 colpi di pistola.

Le prime ipotesi che si trattasse di un delitto commesso dai gruppi terroristici, come le Brigate Rosse o i Nuclei Armati Rivoluzionari, vennero ben presto scartate: fu la ‘ndragheta a farlo fuori. Lo ha rivelato lo stesso Domenico Belfiore, uno dei capi dell’organizzazione mafiosa a Torino, parlando con l’incarcerato Francesco Miano, che lo stava registrando a sua insaputa.

Belfiore, mandate del crimine, venne così condannato all’ergastolo nel 1992. L’esecutore materiale dell’omicidio Caccia è rimasto invece sconosciuto fino al 2015, quando, a seguito di indagini avviate su richiesta dei figli del magistrato, è stato individuato nella persona di Rocco Schirripa, panettiere calabrese, condannato anche lui all’ergastolo in via definitiva nel 2020.

Bruno Caccia: la vita privata

Bruno Caccia era sposato dal 1953 con Carla Ferrari, di mestiere professoressa. Insieme, avevano tre figli: Guido, Paola e Maria Cristina.

Come si legge sul sito dell’associazione Libera, era un uomo dedito alla famiglia e coltivava diversi passatempi, dal curare un orto nella sua casa di Ceresole, al ballare il liscio, fino al praticare tennis.

La memoria dell’operato di Bruno Caccia

Il lavoro di Bruno Caccia non è stato dimenticato: nel 2001, il Palazzo di giustizia di Torino è stato intitolato al magistrato vittima di mafia.

Lo stesso è successo per una cascina in un paese nei dintorni di Torino, San Sebastiano Po, sequestrata proprio al fratello di Domenico Belfiore, Salvatore, e ora rinominata “Cascina Bruno e Carla Caccia”. E’ la sede dell’associazione antimafia Acmos, che aderisce a Libera.