Stefano Bruno, l’avvocato di Davide Paitoni, morto suicida in carcere oggi, ha parlato delle condizioni del suo assistito.
Si era macchiato di un delitto talmente atroce e crudele che la sua mente non ha retto le conseguenze psicologiche delle sue azioni. Questa la disamina basilare legata alla morte di Davide Paitoni, suicidatosi nel carcere di San Vittore oggi. Paitoni, l’1 gennaio, aveva ucciso il figlio Daniele, di soli 7 anni. Ma il rimorso e il senso di colpa ha schiacciato l’uomo a tal punto da causarne l’impossibilità di continuare a vivere. Queste le parole dell’avvocato di Davide Paitoni, Stefano Bruno, intervenuto poche ore dopo la morte del suo assistito all’AdnKronos.
Le parole del legale
“Se avessi immaginato che cosa aveva in mente, avrei in tutti i modi cercato di evitarlo”. Queste le parole di Stefano Bruno in merito alla morte del suo assistito. Paitoni “era in condizioni di grave sofferenza fisica, psichica e, secondo me, anche psichiatrica”. Ecco perché “avevo chiesto per lui una perizia, ma il giudice ha ritenuto di non disporla perché dalle modalità con cui è stato eseguito il delitto, ha desunto esservi una prova ‘tranquillizzante’ della sua capacità di intendere e di volere”. Anzi, “una perizia psichiatrica sarebbe stata anche dilatoria”.
Il problema del legale era la difficoltà di comunicazione con l’omicida: “Io parlavo, ma quando si cominciava ad entrare in argomento, lui andava in confusione, in depressione, in pianto; diceva di avere un buio, di non ricordare, di avere le idee confuse; straparlava. Diceva cose a volte con poco senso”. L’avvocato, inoltre, smentisce che l’uso abituale di Paitoni di alcool e droga avesse potuto contribuire al delitto.
“Lui aveva fatto uso sporadico, in gioventù, di cocaina per andare, ad esempio in discoteca; poi ne aveva recuperata una piccola quantità nel momento in cui era agli arresti domiciliari, o poco prima, ma non era affatto un tossicodipendente. Se poi fosse drogato nel momento in cui è avvenuto il delitto, non lo sapremo mai perché uno degli aspetti su cui ho cercato di far luce, come ho sempre detto, è che non riuscivo a parlare con lui. L’ho fatto visitare da una psicologa forense, che mi ha poi dato della documentazione sulla scorta della quale io ho chiesto la perizia psichiatrica“, ha concluso Bruno.