Il numero delle dimissioni in Italia e in gran parte dei Paesi europei è in costante aumento: a causare questa situazione diversi fattori.
Recentemente il fenomeno delle dimissioni di massa sta interessando numerosi Paesi, Italia compresa. Con dati alla mano, sono emersi 557mila licenziamenti recenti. Lo riferisce la Cgil, che spiega come i lavoratori abbiano “voglia di un lavoro più agile e di condizioni migliori”.
I dati
Nel giro di nove mesi ben 1,6 milioni di lavoratori hanno dato le loro dimissioni. Anche gli Stati Uniti non sono esenti da questo importante fenomeno, dove la situazione è nota con il nome di “Great resignation”, ovvero grandi dimissioni.
Da quando è sorta la pandemia nel 2020, il fenomeno delle dimissioni ha interessato maggiormente la popolazione italiana. In questa situazione, il numero delle persone che decide di abbandonare il proprio posto di lavoro nella speranza di un impiego migliore è sempre maggiore.
Ma anche da prima della pandemia, non era una novità come il sette – ad esempio – della ristorazione fosse in difficoltà nella ricerca del personale, che continua a scarseggiare. Chiaramente, tra le motivazioni numero uno di questo fenomeno sono i lunghi turni di lavoro e la paga al minimo sindacale nel migliore dei casi.
Ammontano a oltre 1,6 milioni le dimissioni verificatesi nei primi nove mesi del 2022. Si tratta, nella fattispecie, del 2% in più rispetto ai primi nove mesi del 2021. In quel periodo il dato ammontava a più di 1,3 milioni.
La fotografia arriva dagli ultimi dati trimestrali sulle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro, ed il numero indica i rapporti di lavoro cessati per dimissioni, e non il numero dei lavoratori coinvolti. Alla luce di questa situazione, secondo la Cisl è necessario “rivedere i modelli organizzativi verso una maggiore qualità”. Le imprese italiane sono però costituite “per circa il 95% da microimprese, quelle con la minore produttività, all’interno delle quali mediamente si fatica di più a sviluppare forme di welfare integrativo e dove non si pratica la contrattazione aziendale e non si costruiscono sistemi premianti trasparenti. Dove si eroga poca formazione, si genera minore conciliazione vita-lavoro, si intravedono le minori prospettive di crescita economica e professionali”.
Dalla Cgil Tania Sacchetti continua spiegando: “L’aumento delle dimissioni può avere spiegazioni molto differenti: da un lato può positivamente essere legata alla volontà, dopo la pandemia, di scommettere su un posto di lavoro più soddisfacente o più ‘agile’, dall’altro però, soprattutto per chi non ha già un altro lavoro verso il quale transitare, potrebbe essere legato a una crescita del malessere dovuta anche ad uno scarso coinvolgimento e ad una scarsa valorizzazione professionale da parte delle imprese”.