L’Election day rappresenta un problema per il governo. I governatori delle Regioni non cedono il passo. Confronti in corso con il Viminale.
Niente accordo sull’Election day. O meglio, l’idea del 20-21 settembre non convince né il Centrodestra né alcuni esponenti delle forze di maggioranza. Il governo ascolta le proposte che arrivano dai diversi fronti, vuole evitare lo scontro con i presidenti delle Regioni ma deve arrivare a una decisione. Che comunque scontenterà qualcuno.
Per il governo c’è il problema dell’Election day
Il 20 e il 21 settembre (due giorni per evitare assembramenti nelle ore di punta) si potrebbe votare per le Regionali e per le amministrative. E forse i cittadini saranno chiamati ad esprimersi anche per quanto riguarda il referendum sul taglio dei parlamentari. In realtà la situazione è complessa. Per cosa si debba votare è chiaro a tutti. Quando farlo è un altro discorso.
Lo scontro con le Regioni
Il governo, come di consueto in questa emergenza sanitaria, si affida alle indicazioni degli esperti. Ancora nelle ultime ore il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro ha confermato che, in base ai dati attuali, non è possibile escludere una seconda ondata il prossimo autunno. Anzi, lo scenario è probabile. Per questo motivo l’idea è quella di andare al voto a settembre, possibilmente non dopo.
Al discorso sanitario si aggiunge quello economico. Organizzare diversi tornate elettorali significherebbe moltiplicare i costi per le casse dello Stato.Da qui l’idea di accorpare quello che può essere accorpato.
Poi ci sono gli interessi politici, con governatori che spingono per andare al voto già a luglio e altri che sperano di poter prendere tempo andando oltre la metà del mese di settembre. Cinque presidenti uscenti, quelli di Liguria, Marche, Veneto, Campania e Puglia hanno scritto a Mattarella chiedendo di valutare la richiesta di anticipare il voto alla fine di luglio o, al più tardi, a inizio settembre.