ll drammatico racconto di Veronika, una studentessa universitaria e appassionata giocatrice di hockey sul ghiaccio, ora vive come rifugiata in un villaggio di montagna in Ucraina.
Mentre i civili vengono evacuati dalla città assediata di Mariupol, una ragazza racconta la sua terrificante fuga e di come la vita le sia cambiata per sempre. Dai social di Veronika, Il drammatico racconto di una ragazza fuggita da Mariupol.
“I mesi prima della guerra sono stati i migliori della mia vita. Ero al secondo anno di università ed ero uno dei migliori studenti del corso. Ma la cosa che ha dato un vero significato alla mia vita è stato giocare a hockey su ghiaccio. Era quello per cui mi svegliavo ogni mattina. Il 23 febbraio il nostro allenatore mi ha parlato dei piani per creare una squadra di hockey femminile per cercare di raggiungere il campionato professionistico. Sono andata a letto così felice, non vedevo l’ora che arrivasse il giorno successivo”.
Il risveglio la mattina alle 5:30
“La mattina dopo, quando mi sono svegliata alle 5:30, non ho capito subito che erano state le esplosioni, e non la mia sveglia, a svegliarmi. Il mio letto tremava per le onde d’urto”.
“Mia madre ed io uscimmo dalle nostre camere da letto, capendo a malapena cosa stesse succedendo. Per le prime ore siamo rimaste sedute insieme, aspettando che tutto finisse, ma il bombardamento è solo peggiorato. Così abbiamo preparato una valigia e siamo corsi nel seminterrato dei miei nonni”. Cosi Veronika racconta sui social il primo giorno di guerra.
“Non appena sono entrata nel seminterrato ho capito che la mia vita era finita. Hockey, lavoro, amici, un ragazzo di cui ero molto innamorata, tutte queste cose finirono quel giorno. Probabilmente è per questo che non provo più niente: niente paura, niente dolore, niente rabbia, niente voglia di vivere. Mi sento come se fossi morta alle 5:30 del 24 febbraio”.
Veronika ha poi raccontato i terribili giorni nel seminterrato, senza acqua e con l’elettricità solo per brevi momenti. Isolati dal mondo, perchè senza telefoni e con il cibo che scarseggiava “Mangiavamo un pezzo di pane e un dolce due volte al giorno” ha scritto. Durante quelle lunghe giornate, chiusi sottoterra, distinguere il giorno dalla notte è diventato sempre più complicato. Le difficili condizioni in cui si è trovata a vivere, sono state amplificate dalle continue esplosioni che facevano tremare l’edificio e il seminterrato.
“Mia madre ed io abbiamo avuto la possibilità di trasferirci dalla riva sinistra al centro città, che a quel punto era un po’ più sicura”. Veronika continua raccontando che il trasferimento in una zona più sicura della città è avvenuto solo per lei e sua mamma, mentre i suoi nonni sono rimasti nel seminterrato. “Abbiamo detto addio ai miei nonni. Non ho saputo più niente di loro”.
“Dall’8 marzo ci siamo nascosti in un magazzino sulla riva sinistra. La fame, la sete e il freddo aumentavano e cercavamo di non soccombere all’isteria di massa. C’era un mercato lì vicino e sotto i bombardamenti lo abbiamo raggiunto per cercare i resti di verdure tra le macerie e le auto in fiamme. Stavamo rischiando la vita per le verdure marce”.
“Non so dove sia la mia famiglia” racconta Veronika
Veronika ha poi raccontato che in quelle condizioni precarie, con poche quantità di cibo e acqua, sopravvivere sarebbe diventato sempre più difficile. Insieme alla mamma, hanno così deciso di partire, di scappare via dalla città. “Abbiamo trovato dei signori con una macchina e siamo andati fuori città con loro”.
“Per me a questo punto era tutto uguale. Muori in un magazzino o muori in mezzo alla strada. Pochi giorni dopo abbiamo appreso che l’intera area in cui ci nascondevamo era stata bruciata”. Grazie all’aiuto di alcune persone trovate per strada, hanno così raggiunto in macchina Zaporizhzhia, successivamente sono arrivate a Leopoli, ed infine in un piccolo villaggio di montagna dove la situazione sembra essere tranquilla, e dove sono al sicuro.
Veronika racconta che dal giorno in cui è scappata dal sotteraneo, non ha più notizie della sua famiglia. Ha saputo che l’edificio dove abitavano i suoi nonni era stato raso al suolo, mentre il suo appartamento è occupato. “Mi sento male pensando che tocchino le foto della mia infanzia o la mia divisa da hockey”.
La domanda che si fa Veronika “Chi mi restituirà la mia vita rubata?”
Il dramma della guerra, oltre agli innumerevoli morti che sta portando, e le grandi conseguenze a livello economico, è la perdita del senso d’identità che molti cittadini Ucraini stanno provando. “Proprio come la mia città natale, ho la sensazione di non esistere più. Ho gravi problemi alla pelle dovuti alla mancanza di igiene e la polvere nel seminterrato significa che ho sempre il fiato corto. Non ho più un rapporto normale con il cibo”.
E l’unico desiderio che Veronika esprime sui social è quello di tornare a casa sua, ma che purtroppo invece non potrà più aprire. “Anche se per ora siamo al sicuro, non mi riprenderò mai da questo trauma; mi perseguiterà per tutta la vita” conclude così la ragazza nel suo racconto drammatico.