Cosa c’è dietro i vestiti che vengono buttati nei cassonetti o che restano invenduti nei magazzini? La scoperta è sconvolgente.
I commercianti africani di Kantamanto, uno dei mercati di abbigliamento di seconda mano più grandi del mondo, hanno rivelato una triste verità sul destino catastrofico di gran parte di vestiti. Solo un terzo di quelli che arrivano vengono venduti o riciclati, mentre gli altri contribuiscono a creare un vero e proprio disastro ambientale.
La realtà dei mercati di abbigliamento
Ogni settimana, alla periferia di Accra, in Ghana, arrivano dai Paesi Ue oltre 15 milioni di indumenti usati o invenduti. Qui, dove lavorano circa 30mila persone in condizioni di sicurezza precarie, solo un terzo viene riciclato.
Tra la montagna di vestiti non venduti giunti da magazzini, o dalle donazioni di cittadini oppure ancora dai cassonetti di riciclaggio, solo un terzo vengono venduti davvero. Si tratta di circa 6 milioni di indumenti di migliore qualità, mentre il resto va smaltito.
Discariche: impossibile smaltire i vestiti
Il problema è che le autorità locali non riescono a smaltire tutta la montagna di tessuti in maniera corretta, per cui molte discariche legali hanno dovuto chiudere per aver raggiunto il limite di capienza. Al momento, la discarica di Adepa (50 km a nord di Kantamanto), riesce a gestire solo il 30% del totale dei vestiti che arrivano sul mercato locale.
Il restante 70% “finisce in fossati e scarichi, rilasciando coloranti in mare e fiumi, e coprendo le spiagge con vasti grovigli di vestiti”, denunciano i commercianti africani. Si tratta di una vera e propria “catastrofe ambientale” per la biodiversità marina, ma anche un danno economico per la pesca.
La risposta dell’Europa
I commercianti di Kantamanto, che adesso ricevono dai produttori di abbigliamento circa 0,06 centesimi di euro ad articolo che trattano, chiedono a Bruxelles di fissare una soglia minima obbligatoria di 50 centesimi per articolo. Inoltre, chiedono che le imprese Ue contribuiscano a un fondo ambientale che aiuti a bonificare le discariche e a ridurre il danno ambientale.
Come risponde l’Unione europa alle proteste dei commercianti? L’Ue propone di introdurre delle misure per garantire che le imprese europee del settore tessile paghino il giusto prezzo per i rifiuti che creano nelle loro catene di approvvigionamento.
In attesa della proposta della Commissione europea, l’europarlamento ha approvato un pacchetto di proposte legislative che mirano proprio a porre fine agli effetti negativi della “fast fashion”. Si chiede quindi l’introduzione di misure più severe per combattere la produzione e il consumo eccessivo di prodotti tessili.