Il 4 dicembre del 1975 moriva a New York Hannah Arendt, pensatrice, filosofa e storica tedesca, autrice de La banalità del male.
Si spegneva il 4 dicembre del 1975 a New Yorh Hannah Arendt, la filosofa e storica tedesca che nel corso della sua vita si è battuta per i diritti civili e per ricordare al mondo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale e della persecuzione Nazista. La Arendt, nata ad Hannover nel 1906, fu perseguita dai tedeschi in quanto di origine ebraica e toccò con mano l’orrore della follia di cui spesso avrebbe scritto e parlato. Morì il 4 dicembre 1975 a causa di un arresto cardiaco.
Hannah Arendt: la biografia
Nata il 14 ottobre 1906 ad Hannover, Hannah studiò filosofia all’Università di Marburgo. Proprio negli anni degli studi universitari si innamorò di uno dei più influenti e discussi pensatori del Novecento, Martin Heidegger. La relazione tra i due si interruppe a causa del profondo solco ideologico che divise i due. Martin Heidegger era filo-nazista, la Arendt era una delle principali avversarie ideologiche del regime.
Hannah Harendt si laureò brillantemente con una tesi su Sant’Agostino e solo le sue origini ebraiche le impedirono di ottenere l’abilitazione all’insegnamento. Dopo la relazione con Gunther Stern – noto come Günther Anders -, nel 1937 Hannah Arendt decise di lasciare la Germania, dove ormai il Nazionalsocialismo aveva preso il sopravvento e aveva già dato prova della sua crudeltà contro gli ebrei e contro le razze non ariane. La filosofa si trasferì in Francia, considerandolo un Paese sicuro.
Proprio in Francia la Arendt decise di contrastare in maniera pratica il Nazismo dando aiuto e supporto agli ebrei perseguitati dal regime. Dopo l’invasione della Francia ad opera dell’esercito tedesco, Hannah lasciò il paese e si trasferì negli Stati Uniti con suo marito, il poeta Heinrich Blücher, che aveva sposato nel 1940.
Hanna Arendt, La banalità del male
Al termine della guerra Hannah seguì con molto interesse il Processo di Norimberga, il processo in cui vennero giudicati e condannati gli alti gerarchi nazisti che nel corso del conflitto si erano resi autori di crimini contro l’umanità.
Tra il 1960 e il 1963, negli anni del processo a Adolf Eichmann, mente delle Soluzione finale, ossia dello sterminio nei campi di concentramento, Hanna Arendt scrisse il libro che l’avrebbe consegnata alla storia: La banalità del male.
Si tratta di fatto di un diario incentrato sul processo ad Adolf Eichmann, il quale nel corso del suo processo parlava con una lucidità e con una leggerezza inaudita dello sterminio di milioni di persone.
Eppure la Arendt non risparmia critiche agli accusatori, affermando che il processo rispondeva più ad esigenze politiche che a un desiderio di fare giustizia per quanto accaduto. Eichmann diventa simbolo capro espiatorio di un antisemitismo mai debellato.