Uno studio dell’università Cattolica e Stanford conferma che i vaccini anti‑Covid hanno evitato oltre 2,5 milioni di morti.
Tra il 2020 e il 2024, i vaccini anti‑Covid hanno avuto un impatto cruciale sulla mortalità globale. A confermarlo è uno studio pubblicato su Jama Health Forum, condotto dall’università Cattolica in collaborazione con la Stanford University. La ricerca è stata guidata da Stefania Boccia, docente di Igiene generale e applicata, con il contributo di Angelo Maria Pezzullo e Antonio Cristiano, che hanno lavorato con il gruppo di John P. A. Ioannidis all’interno del progetto europeo ExACT, finanziato dal programma Rise‑Marie Skłodowska Curie.

I numeri dello studio
“Una vita è stata salvata ogni 5.400 dosi somministrate”, si legge nello studio. In totale, “i vaccini hanno evitato più di 2,5 milioni di morti nel mondo”. I ricercatori sottolineano che “l’82% delle vite salvate dai vaccini mirati contro il Coronavirus pandemico Sars-CoV-2 ha riguardato persone vaccinate prima di contrarre il virus, il 57% durante il periodo Omicron, e il 90% persone di età pari o superiore a 60 anni”.
Lo studio ha anche evidenziato che “il 76% degli anni di vita salvati ha riguardato persone over 60, ma che gli ospiti delle strutture di assistenza a lungo termine come le Rsa hanno contribuito solo per il 2% del totale”. Il contributo dei più giovani è stato molto limitato: “Bambini e adolescenti (lo 0,01% delle vite salvate e lo 0,1% degli anni di vita salvati) e giovani adulti di età compresa tra 20 e 29 anni (0,07% di vite salvate e 0,3% di anni di vita salvati)”, si legge ancora nell’indagine. Come riportato anche da adnkronos.com
Implicazioni sanitarie e strategiche
I risultati confermano l’importanza di una strategia vaccinale mirata alle fasce più vulnerabili. L’efficacia documentata — una vita ogni 5.400 dosi — dimostra come i vaccini anti‑Covid abbiano rappresentato una risposta determinante alla pandemia. La collaborazione tra università italiane e americane ha garantito rigore metodologico e affidabilità scientifica.
Lo studio ribadisce anche la necessità di riflettere sull’impatto limitato tra i più giovani. Senza però trascurare il ruolo che questi gruppi possono avere nella catena del contagio e nella protezione delle categorie più fragili.