La storia di Pavel Broska, giornalista 39enne sequestrato, legato e torturato in uno scantinato dai russi.
La guerra in Ucraina ha causato innumerevoli drammi, sia per quanto riguarda i russi sia per quanto riguarda gli ucraini. Le due parti in causa, un tempo unite sotto la bandiera dell’Unione Sovietica, ora si trovano in conflitto per questioni storiche, economiche, politiche e geografiche. Le leggi sulla censura vigenti in Russia, che hanno anche portato alla chiusura della Novaya Gazeta, hanno portato il giornalista 39enne russo Pavel Broska a vivere un’esperienza estremamente traumatica. Questa è la sua testimonianza in merito all’accaduto.
Le parole di Broska
“Sequestrato, legato e torturato in uno scantinato per tre giorni perché pensavano fossi una spia di qualche nazione occidentale dopo aver pubblicato un articolo in cui riferivo di un milione di mascherine che sarebbero dovute arrivare in Italia ma non sono mai state consegnate”. Questo l’incipit di Pavel Broska, intervistato dall’Agi in merito alle torture subite nella sua madrepatria in quanto giornalista.
La carriera di Broska nel mondo del giornalismo è cominciata nel seguente modo. “In Russia ho iniziato a lavorare come giornalista alla radio presentando un programma sulle corse automobilistiche. Nel 2014 sono stato corrispondente di guerra ma quel lavoro mi è stato tolto perché ho scritto solo quello che vedevo coi miei occhi. Allora ho creato la mia stazione radio a Donetsk per trasmettere la verità alla gente, ma mi è stato proibito anche quello”.
Le torture subite
Broska dichiara quanto segue in merito alle torture subite. “Dopo aver scritto che un milione di mascherine promesse all’Italia dal direttore del Centro di cultura e lingua Italiana di Sebastopoli non vi erano mai arrivate, il mio capo mi ha chiamato e mi ha chiesto di rimuovere l’articolo perché dei ‘grossi papaveri’ erano coinvolti in questa vicenda. Mi sono rifiutato. Poi sono stato licenziato e dopo un po’ sono stato sequestrato fuori da casa mia per essere interrogato. Per tre giorni sono stato legato in uno scantinato a dieci gradi mentre mi gettavano addosso acqua fredda e calda a intermittenza“.
Riguardo i motivi del mancato arrivo del carico verso l’Italia, Broska dice la sua: “È stata un’operazione di disinformazione creata dal Cremlino attraverso alcuni apparati di intelligence in Crimea. Anche le Camere Penali Internazionali, alle quali devo di avermi salvato la vita aiutandomi a venire in Italia, si occuparono della storia, mentre conducevo la mia indagine giornalistica”.