Il barman, attualmente in carcere, ha cercato di giustificare l’acquisto di alcune sostanze tossiche, schivando le accuse.
Alessandro Impagnatiello ha gestito nel peggiore dei modi la sua doppia vita al fianco di Giulia Tramontano, ragazza che presto lo avrebbe fatto diventare padre del piccolo Thiago, e ha scelto di ucciderla con 37 coltellate. Nei mesi precedenti, però, il barman di Senego, in provincia di Milano aveva anche provato a percorrere strade alternative per toglierle la vita o per indurle un aborto: quelle dei veleni per topi, dell’ammoniaca e del cloroformio diluiti nelle bottiglie d’acqua che teneva in casa sua.
Impagnatiello ha provato in ogni modo ad avvelenarla e si sarebbe giustificato davanti agli inquirenti dicendo che tutte quelle sostanze gli servivano per uccidere i ratti che infestavano il suo bar. A rivelarlo è stata la trasmissione “Quarto Grado” che però ha dato voce anche ai colleghi del killer, pronti a negare che nel locale di lusso ci siano mai stati dei topi.
La conferma degli esami tossicologici
I medici legali hanno dimostrato la presenza di quelle sostanze all’interno del corpo di Giulia e del feto del piccolo Thiago ma non sono riusciti ad identificare le modalità con cui le abbia assunte. Il barman potrebbe aver agito in due modi: con poche dosi estremamente potenti o con numerose dosi lievi.
Quello che è chiaro, però, è che la sua compagna stava iniziando ad accusare il veleno presente nel suo corpo. La ragazza, infatti, ha scritto alcuni messaggi a familiari ed amici in cui raccontava di sentirsi “come drogata” e che l’acqua che aveva in casa sua puzzava di ammoniaca.