Una nuova guerra calibrata sulle vie del gas che portano in Europa. Quella scoppiata tra Armenia e Azerbaigian, che conta 100 morti.
I due Paesi in questione, si starebbero accusando a vicenda in merito all’inizio delle tensioni, a seguito della tregua raggiunta nel 2020, dopo una seconda guerra per il controllo del Nagorno – Karabakh, il territorio desiderato da circa un secolo da parte di Baku e Yerevan, e dove esiste un’autoproclamata repubblica pro-Armenia.
Gli scontri sono avvenuti fuori da questa regione, nelle armene Jermuk e Verin Shorzha, il che confermerebbe le analisi secondo cui saremmo di fronte ad un’aggressione dell’Azerbaigian. Un’aggressione che potrebbe configurarsi quale conseguenza indiretta della guerra in Ucraina e del ruolo di Baku nell’approvvigionamento di gas e petrolio verso l’Europa.
L’offensiva di Baku
Il nuovo conflitto di Baku ha una coincidenza temporale dubbia con l’accordo sottoscritto lo scorso luglio con la Commissione europea, quando la presidente Ursula von der Leyen si recò nel Paese per conciliarsi con Ilham Aliyev, il leader dell’Azerbaigian, arrivato al potere nel 2003 dopo 10 anni di governo paterno. Questo incontro, si sarebbe tradotto in un aumento del 30% circa le esportazioni di gas dai giacimenti azeri all’Europa attraverso il Tap: 10-12 miliardi di metri cubi diretti in Grecia e Italia entro il 2022 per sostituire le forniture russe. Inoltre, Bruxelles e Baku sono lì per finanziare il raddoppio del gasdotto trans-adriatico.
L’intesa con l’Ue non piacque a molte organizzazioni umanitarie internazionali, che da tempo puntano il dito sulle violazioni di diritti sociali, politici e umanitari nel Paese. Stando al Democracy index dell’Economist, a Baku esiste un regime autoritario che lo pone al 141esimo posto di 167 Paesi analizzati per lo stato delle democrazia.