Luigi Di Maio prende le distanze dal Pd: “A livello nazionale non è un’alleanza, ma un governo che mette insieme i voti”.
La coperta è corta per Luigi Di Maio, che prova ora a girare le spalle al Pd per provare a placare le polemiche nate all’interno del Movimento 5 Stelle.
Il Movimento 5 Stelle corre da solo
Dopo aver assecondato i dem per le elezioni in Umbria, il leader del Movimento 5 Stelle è intenzionato a correre da solo in Emilia Romagna. Ma come detto la coperta è corta. Se da una parte la decisione sembra tranquillizzare un’ala del M5S dall’altra sembra agitare i dem e il premier Giuseppe Conte. Anche perché Luigi Di Maio ha detto e ribadito di non voler trasformare il patto con il Pd in un’alleanza organica. Un passaggio che al Nazareno vedono come necessario per andare avanti anche a livello nazionale.
Luigi Di Maio volta le spalle al Pd: “A livello nazionale non è un’alleanza, ma un governo che mette insieme i voti”
“A livello nazionale non è un’alleanza, ma un governo che mette insieme i voti perché non abbiamo raggiunto il 51 per cento dei consensi“, ha dichiarato Di Maio prendendo le distanze dal Partito democratico. Non c’è nessuna menzione a un progetto ideologico condiviso, non si parla di futuro. La riflessione è molto più banale se vogliamo. Per governare avevamo bisogno di una stampella, questa stampella dopo il passo indietro di Salvini l’abbiamo trovata nel Pd.
Zingaretti tentenna, l’esperimento di governo va verso il fallimento
E questa visione non è proprio il massimo per Nicola Zingaretti. Il Segretario del Partito democratico non vuole tornare al voto ma è consapevole del fatto che l’atteggiamento in qualche modo ostile del Movimento 5 Stelle sta favorendo Salvini. E tirare troppo la corda potrebbe essere deleterio per tutti.
La visione di Zingaretti sta prendendo piede ai piani alti del partito, dove molti danno per fallito l’esperimento di governo e hanno iniziato a consultare il calendario cerchiando la data del possibile ribaltone. Paradossalmente ad oggi il governo è in piedi per due crisi. La manovra, che deve superare l’esame della Camera, e l’Ilva, che inchioda i ministri alle proprie scrivanie nel tentativo di evitare una catastrofe.