Roma, vicepreside alle studentesse: no alle minigonna a scuola, altrimenti ai professori cade l’occhio. Tutte le ragazze si presentano a scuola con le gambe scoperte.
La scuola torna alla ribalta e questa volta per motivi diversi dall’emergenza coronavirus. A fare notizia è l’appello di una vicepreside di un istituto romano che ha invitato le ragazze a non indossare la minigonna a scuola altrimenti ai professori cade l’occhio. E la richiesta della dirigente ha scatenato la reazione delle studentesse che si sono presentate a scuola con le gambe scoperte.
Roma, niente minigonna a scuola, altrimenti ai professori cade l’occhio
Siamo al liceo Socrate, alla Garbatella, storico quartiere di Roma. Qui la vicepreside dell’Istituto ha chiesto alle ragazze di non indossare la minigonna a scuola, altrimenti ai professori cade l’occhio.
“Il primo giorno di scuola la vicepreside, entrando in classe per dare delle comunicazioni, ha poi chiamato fuori una mia compagna, che quel giorno indossava una gonna. Le ha detto che non era il caso di vestirsi in quel modo, che era provocante, che a qualche professore poteva ‘cadere l’occhio”. Questo il racconto di una delle ragazze del liceo riportato da la Repubblica.
Sembra che anche altre ragazze siano state richiamate per lo stesso motivo.
Una richiesta che evidentemente nel 2020 ha scatenato le polemiche e la reazione delle studentesse che hanno deciso di protestare in maniera pacifica ma fortemente simbolica. Presentandosi a scuola con le gambe scoperte, difendendo la propria libertà e rispendendo le accuse al mittente.
La protesta pacifica: le studentesse a scuola con le gambe scoperte
E il messaggio è chiaro. Se cade l’occhio non è colpa nostra, ripetono in coro le studentesse che difendono la propria libertà e condannano la violenza di genere.
“Personalmente non ne so nulla ma su una cosa posso garantire personalmente: il Socrate fa della libera espressione un punto fermo […]. Per me è ovvio che tutte e tutti possono vestirsi come vogliono, gli unici limiti sono la Costituzione, il codice penale, e naturalmente un po’ di buon senso. Di certo non abbiamo un dress code né ci verrebbe mai in mente di imporlo. Ma avvierò subito delle verifiche, non oso pensare che una persona sia tanto ingenua e così poco attenta da esprimersi in un modo del genere. Le opinioni personali vanno bene, ma si parla di opinioni soggettive e tali devono restare, se si passa alla censura è un problema“, ha dichiarato il Presidente dell’Istituto interrogato da la Repubblica.