L’uomo condannato per l’omicidio di Yara Gambirasio vuole provare a discolparsi dopo l’ultima sentenza della Corte di Cassazione.
“Sono innocente“. Questo sembra voler dire Massimo Bossetti a distanza di quasi 13 anni dalla morte di Yara Gambirasio. A dargli man forte sono i suoi avvocati difensori che, dopo la sentenza della Corte di Cassazione, hanno avuto accesso ai reperti dell’omicidio. Il muratore di Mapello era stato ritenuto responsabile di aver ucciso la giovane ginnasta e di averla lasciata in un campo a Chignolo d’Isola il 26 febbraio del 2011, tre mesi dopo quel fatidico giorno in cui non era rientrata a casa dalla sua palestra. Claudio Salvagni, avvocato difensore di Bossetti, ha preso la parola nel programma “Crimini e Criminologia” di Cusano Italia TV per commentare la situazione attuale. “Massimo mi ha detto testualmente – spiega la difesa – di voler riuscire a dimostrare di essere innocente. Spenderò tutte le energie che ho a disposizione per poterlo fare. Questa notizia per lui è una bella iniezione di fiducia“.
La sentenza della Cassazione
L’ultima sentenza della Cassazione ha annullato quanto stabilito dalla Corte d’Assise di Bergamo il 21 novembre 2022 che aveva negato ai legali di Bossetti di accedere ai reperti dell’omicidio confiscati. Ora crescono nuovamente le possibilità di una revisione del processo.
“Noi – continua Salvagni – abbiamo vinto 4 volte con altrettante sentenze della Suprema Corte e due volte non abbiamo perso perché il ricorso era stato trasformato in opposizione. Questo dimostra che la difesa deve poter esercitare il diritto di avere accesso ai reperti per nuovi esami, e che i giudici di Bergamo in maniera incredibilmente pervicace negano da ormai 4 anni questo sacrosanto diritto di Massimo Bossetti. Faccio presente che in Cassazione i ricorsi accolti sono pochissimi, sono circa il 3%; noi invece stavolta abbiamo ottenuto il quarto annullamento. Io però resto dell’idea che si voglia mettere una pietra tombale su questo processo e non si voglia concedere in alcun modo a Bossetti la possibilità di esaminare quei reperti perché porterebbe a un risultato differente rispetto a quello a cui è giunta l’accusa“.