La Rai può essere orgogliosa della sua produzione originale, che sta ottenendo risultati da record. E cresce l’attesa per la quarta serie…
Il successo di “Mare Fuori” è letteralmente travolgente. I numeri che sta ottenendo grazie allo streaming – in continuo aggiornamento – fanno impallidire persino l’audience realizzata sulle stesse piattaforme dalle partite di calcio. Un fenomeno, oltretutto, legato a una produzione originale italiana che, pur intercettando i giovani grazie all’accordo con Netflix, non ha cannibalizzato gli ascolti della prima serata su Rai Due.
Il suo trionfo è certamente legato a felici scelte di marketing, dal doppio canale distributivo alla comparsata del cast al Festival di Sanremo, passando per l’efficacissima colonna sonora interpretata dall’eclettico Icaro (al secolo Matteo Paolillo, che nella serie interpreta anche Edoardo Conte). Altrettanto versatile si è rivelato Raiz, ex Almamegretta, che oltre a comporre la musica insieme a Stefano Lentini e a cantare “Ddoje mane” ha egregiamente prestato il volto al minaccioso Don Salvatore Ricci.
Soprattutto, però, “Mare Fuori” beneficia di un contenuto autoriale di primo livello, che dimostra come sia possibile fare intrattenimento in maniera intelligente, toccando un tema delicato come quello del carcere minorile, senza farne una banalizzazione da soap-opera, ma senza nemmeno adottare il tono gravoso di una docufiction. Il momento storico si è rivelato fortunato, perché la pubblicazione su Netflix delle prime due stagioni (la prima è del 2020) ha coinciso con il dibattito suscitato da vari fatti di cronaca inerenti al tema, dal caso-Cospito all’evasione di sette minori dal Beccaria di Milano.
I detrattori di “Mare Fuori” la definiscono uno stucchevole mashup tra “Un posto al sole” e “Gomorra”, ma sbagliano: gli sceneggiatori hanno trovato il giusto bilanciamento tra il linguaggio della serie-tv e il racconto di una realtà complessa, senza in nessun modo mitizzare la criminalità e le logiche del “sistema”. I flashback sapientemente usati nelle varie puntate ricostruiscono il passato dei giovani detenuti, gli errori che li hanno portati in carcere e le evoluzioni personali. Non è difficile per gli spettatori identificarsi o simpatizzare con i vari protagonisti: da Naditza (Valentina Romani) al “chiattillo” Filippo (Nicolas Maupas), dalla direttrice Paola Vinci (Carolina Crescentini) all’educatore Beppe (Vincenzo Ferrera) non ci sono eroi, ma solo antieroi, persone comuni che affrontano i rispettivi destini.
Rispetto ai detenuti, il racconto è particolarmente efficace nell’evidenziare quella dinamica che lo psicoterapeuta Fulvio Scaparro descriveva nel suo libro del 1983: “La maschera del cattivo – Note sulla delinquenza minorile”, un must per gli addetti ai lavori. In maniera decisamente più pop, “Mare Fuori” ha il pregio di mostrare l’atto criminale compiuto da un minore come l’esito di un percorso sociale, più che il frutto di una scelta o di una inclinazione individuale. Per questo, il percorso può essere invertito grazie al sostegno di un ambiente formato da adulti che rappresentano un modello di legalità e solidarietà, contrapposto a quello già conosciuto di devianza e omertà. Non c’è moralismo, ma la giusta dose di speranza di riscatto, un bene molto prezioso nei difficili tempi che stiamo vivendo.
Certo, a tratti la rappresentazione della vita in carcere è molto romanzata, al punto che viene persino in mente un parallelo con “Il Collegio”, altro successo Rai. Alcuni passaggi sono grossolanamente semplificati, come l’affidamento di Naditza alla famiglia di Filippo, ma nel complesso il prodotto è di qualità molto elevata e si merita tutto il successo che sta ottenendo. Complimenti agli autori, ma vedremo con quali sorprese proveranno ad alzare l’asticella in occasione della quarta serie, già attesissima.