Putin e Xi Jinping fianco a fianco alla parata del Giorno della Vittoria a Mosca. Zelensky la definisce “parata del cinismo”.
A Mosca, sotto i riflettori della Piazza Rossa, si è tenuta la tradizionale parata del Giorno della Vittoria, appuntamento che celebra la sconfitta del nazismo e segna uno dei momenti più solenni nel calendario russo. Ma quest’anno l’evento ha assunto un significato ancora più simbolico: accanto a Vladimir Putin, per la prima volta in questa veste, c’era Xi Jinping, leader cinese, a sancire visivamente un’alleanza sempre più strategica.

Un rito tra memoria storica e calcoli geopolitici
Il corteo, scandito dal passaggio di carri armati, unità militari e dalla rituale esposizione della bandiera della Vittoria, è apparso tanto spettacolare quanto studiato. Non è mancato il discorso presidenziale: «La Russia è stata e sarà un ostacolo invalicabile al nazismo, alla russofobia e all’antisemitismo», ha dichiarato Putin, davanti a una folla ordinata e silenziosa. Il leader russo ha poi aggiunto: «Combatteremo contro le atrocità commesse dai seguaci di queste convinzioni aggressive e distruttive. La verità e la giustizia sono dalla nostra parte».
Zelensky accusa, Trump chiama, Kiev firma
Se a Mosca si celebrava, a Kiev arrivavano parole di condanna. «A Mosca la parata del cinismo», ha affermato Volodymyr Zelensky, denunciando l’uso strumentale della memoria storica per giustificare l’aggressione militare.
Ma la giornata non si è fermata ai simboli: si è tenuta una telefonata tra Zelensky e Donald Trump, attuale presidente degli Stati Uniti. Durante la conversazione, Trump ha proposto un cessate il fuoco di 30 giorni come apertura verso negoziati.
Parallelamente, il Parlamento ucraino ha ratificato un accordo strategico con gli Stati Uniti per lo sfruttamento delle terre rare, risorse essenziali per l’industria tecnologica. L’intesa prevede la creazione di un fondo comune, senza incremento del debito per Kiev.
Così, mentre Mosca metteva in scena il suo potere, l’Ucraina stringeva legami economici e diplomatici con Washington, segnando una nuova fase della contesa globale.