La riforma delle pensioni accelera: con il nuovo ricalcolo contributivo cambiano gli importi degli assegni e i tempi di uscita dal lavoro.
La riforma delle pensioni torna al centro dell’agenda politica italiana, e questa volta con un cambiamento potenzialmente epocale: il ricalcolo contributivo. Il governo guidato da Giorgia Meloni sta lavorando a una revisione strutturale del sistema pensionistico, puntando a un equilibrio tra flessibilità in uscita e sostenibilità dei conti pubblici. Al centro della riforma vi è l’estensione del calcolo contributivo anche ai lavoratori “misti”, cioè coloro che hanno iniziato a versare contributi prima del 1996, finora esclusi da alcune forme di pensione anticipata.
Il nodo cruciale è proprio questo: consentire anche ai lavoratori con anzianità mista di accedere alla pensione anticipata, ma con un vincolo importante. L’assegno verrebbe infatti calcolato interamente con il sistema contributivo, che tiene conto dei contributi effettivamente versati e dell’età di uscita. Questo comporterebbe assegni potenzialmente più bassi rispetto al sistema attuale, che prevede una parte calcolata con il metodo retributivo. Tuttavia, per molti potrebbe rappresentare una via concreta per anticipare l’uscita dal lavoro, soprattutto in assenza di altre opzioni.

I tempi di congedo e le condizioni economiche
Attualmente, chi ha iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996 può accedere alla pensione a 64 anni con almeno 20 anni di contributi, ma solo se l’importo mensile della pensione è pari almeno a tre volte l’Assegno sociale, cioè circa 1.615 euro nel 2025. Per le donne con figli la soglia può essere leggermente più bassa, ma resta comunque selettiva. Con l’estensione della misura anche ai lavoratori “misti”, questa soglia resterebbe, ma con un assegno calcolato interamente col metodo contributivo. In altre parole, chi vorrà anticipare l’uscita dovrà accettare una pensione inferiore.
Un altro aspetto importante riguarda la Quota 41 flessibile, che prevede il pensionamento con almeno 41 anni di contributi, ma solo a partire dai 62 anni d’età. Si tratta di un compromesso, alternativo alla Quota 103, destinata a non essere prorogata. A differenza della formula attuale, non si applicherebbe un ricalcolo contributivo totale, ma una penalizzazione graduale, stimata attorno al 2% per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni.
Un cambiamento strutturale con nuovi criteri
Tra le novità più discusse c’è anche l’introduzione di soglie ISEE come criterio per modulare le penalizzazioni. In pratica, chi ha un reddito familiare sotto i 35.000 euro annui potrebbe essere esentato dalla riduzione dell’assegno, mentre chi supera tale soglia subirebbe la penalizzazione. Si tratta di un cambio di paradigma importante: per la prima volta, non conterebbe solo la carriera lavorativa, ma anche la situazione economica complessiva del nucleo familiare.
Queste modifiche sono ancora in fase di valutazione e il loro impatto sarà chiarito solo con la pubblicazione della prossima Nota di aggiornamento al DEF, attesa entro la fine di settembre. Sarà quel documento a stabilire quante risorse il governo potrà effettivamente destinare alla riforma. In ogni caso, il messaggio è chiaro: il ricalcolo contributivo segnerà una nuova fase per il sistema previdenziale italiano, introducendo criteri più flessibili ma anche più selettivi. Chi si avvicina alla pensione dovrà fare bene i conti, non solo con gli anni di contributi, ma anche con la propria situazione patrimoniale.