Dopo un grave lutto, Roberto Saviano svela il suo ergastolo interiore e l’ombra del suicidio. Ecco cosa ha detto in una recente intervista.
Dopo il terribile lutto per la morte della zia Silvana, Roberto Saviano si confessa in una lunga intervista al Corriere della Sera, rilasciata ad Aldo Cazzullo. L’autore di Gomorra parla del suo momento più buio, dominato da un senso di colpa lacerante e da una sofferenza che lo ha spinto a contemplare il suicidio.

Roberto Saviano e la sensazione di vivere all’ergastolo
“Vivo la mia situazione come se fossi all’ergastolo”, confessa Roberto Saviano, parlando della vita sotto scorta, della perdita della libertà, del suo isolamento. Ogni relazione umana è messa a dura prova, ogni sentimento viene soffocato dalla condizione di “recluso” che lo accompagna da quasi vent’anni.
“Le mie relazioni amichevoli e amorose sono compromesse da come io ho deciso di vivere la mia condizione“, ha dichiarato. La visibilità, invece che protezione, diventa una condanna: “La visibilità è la fine di ogni gesto intimo“. La pressione, le minacce, i processi, l’impossibilità di vivere come chiunque altro lo schiacciano.
“Ho la sensazione di aver sprecato la mia vita. Vorrei interrompere il lavoro. Ma non ci riesco“, ha continuato. A questo peso costante si aggiungono le crisi di panico, le notti insonni, i pensieri cupi: “Le 5 del mattino sono il momento più difficile della giornata. Non respiri. Ti chiedi: e adesso? Dove vado?“.
Il pensiero del suicidio
“Mi chiedo se non sarebbe meglio mettere il punto di una pallottola alla mia fine“, dice Roberto Saviano citando Majakovski. Il pensiero del suicidio non è stato solo un’idea fugace.
“Avevo anche deciso. La risposta del mio corpo fu una scarica di nervi. E sono crollato“, ha aggiunto. Davanti allo specchio, con la determinazione di chi non vede altra via d’uscita, ha avuto un momento di consapevolezza: “Capii che la soluzione non era quella“. Ma la minaccia non svanisce, resta come un’ombra costante. “Se non mi fanno del male, mi farò del male“, confessa.
È il pensiero più cupo, quello che si annida nei momenti di maggior solitudine, quando le parole degli altri si trasformano in condanne: “La frase più stupida che sento è: ‘Se davvero volevano ucciderlo, l’avrebbero già fatto’“. Lo scrittore non nasconde più la verità del suo dolore. “Da questa storia non ne esci“, conclude