L’indagine sul caso Santanchè si estende all’Inpgi, rivelando un sistema di truffe e gestioni opache che coinvolgono anche l’Inps.
Tra le pareti del Ministero del Turismo e nelle stanze dell’Istituto di Previdenza dei Giornalisti Italiani (Inpgi), si dipana una nuova ed ennesima trama di accuse che vede ancora protagonista Daniela Santanchè, attuale ministra del Turismo.
Un’indagine che non si ferma alle porte dell’INPS ma avanza, svelando pratiche opache anche all’interno dell’Inpgi, secondo quanto riportato da Il Fatto Quotidiano.
La vicenda ha radici profonde e coinvolge figure di spicco quali il compagno della ministra, e il direttore del personale di Visibilia Editore Spa. Emergono dettagli di una presunta frode perpetrata ai danni degli enti previdenziali, un danno economico stimato in oltre 36.000 euro, come rivelato da Il Fatto Quotidiano.
L’intricata rete di accuse
Al centro dello scandalo, la gestione delle retribuzioni e delle assenze dei dipendenti. Sembra che alcuni redattori e grafici, ufficialmente in cassa integrazione Covid, fossero invece regolarmente al lavoro. Questa pratica non solo ha messo in discussione l’Inps ma anche l’Inpgi, con un sistema di compensazione che appare quanto meno dubitativo, secondo le investigazioni di Il Fatto Quotidiano.
L’accusa si aggrava considerando la modalità con cui veniva gestito il Libro unico del lavoro: giornate di lavoro a tempo pieno mascherate da periodi di sospensione o ferie, una discrepanza che ha gettato ombre sulla correttezza delle pratiche amministrative di Visibilia Editore Spa.
Il caso Santanchè
Questa vicenda non solo solleva questioni legali ma interpella direttamente l’etica professionale nel mondo del giornalismo. Si tratta di un grave campanello d’allarme che chiama in causa la trasparenza e l’integrità delle istituzioni e delle aziende, soprattutto in momenti critici come quelli legati alla gestione della pandemia.
Mentre l’indagine prosegue, delineando un quadro sempre più complesso e articolato, molti chiedono risposte. Il caso Santanchè si configura come un emblematico esempio di come la fiducia nelle istituzioni possa essere minata da pratiche non trasparenti, così come riporto da Il Fatto Quotidiano.