Un approfondimento sul misterioso omicidio di Mahtab Ahadsavoji, le vicissitudini giudiziarie dei suoi assassini.
Nella fredda serata del 27 gennaio 2014, Milano diventa il teatro di un omicidio che scuoterà la comunità internazionale: Mahtab Ahadsavoji, studentessa iraniana di 29 anni, viene brutalmente assassinata e il suo corpo abbandonato nelle acque della laguna di Venezia. La tragedia si consuma nell’appartamento di via Pericle, dove Mahtab viveva con Gangandeep Kaur, Rajeshewar Singh e altri inquilini stranieri. Il delitto, consumato in una spirale di gelosia e violenza, lascia una scia di dolore e interrogativi ancora aperti. Come riportato da ilgiornale.it
Le sentenze: tra conferme e rivolgimenti
Il processo di primo grado si conclude nel 2015 con la condanna di Gangandeep Kaur a 17 anni di reclusione per omicidio e l’assoluzione di Singh, ritenuto colpevole solo di occultamento di cadavere. Tuttavia, il colpo di scena arriva in appello: Kaur vede la sua pena ridotta a 10 anni dopo una confessione dettagliata, mentre Singh ottiene una condanna simbolica di 8 mesi con sospensione condizionale. Queste sentenze, diventate definitive senza ulteriori appelli, portano alla libertà anticipata degli imputati, lasciando un retrogusto amaro di giustizia incompleta.
Il ritorno alla vita e i dubbi irrisolti
Dopo una decade trascorsa dietro le sbarre, Gangandeep Kaur riassapora la libertà, trovando lavoro e decidendo di rimanere in Italia. Il suo caso simboleggia il tentativo di riscatto e reinserimento sociale post-penitenziario, sebbene l’eco della notte del delitto continui a sollevare dubbi e domande senza risposta.
Parallelamente alla vicenda giudiziaria, emerge la figura di Moigan Ilanlou, zia di Mahtab e attivista per i diritti delle donne iraniane. La sua lotta per la giustizia si intreccia con un impegno più ampio contro le oppressioni del regime iraniano, simbolizzato dal movimento Woman Life Freedom. La sua battaglia, costata caro in termini di libertà personale, riecheggia il grido di dolore e resistenza di chi non si arrende di fronte all’ingiustizia.
Il caso di Mahtab Ahadsavoji rimane un monito sulla fragilità della giustizia e sulla capacità di resilienza dell’animo umano. Nonostante le sentenze abbiano posto un punto sulla vicenda legale, restano le cicatrici di una tragedia che interpella la coscienza collettiva, invitandoci a non dimenticare e a continuare a lottare per un mondo più giusto.